12.02 Caccia grossa all'Etosha
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Entrammo nel parco su una strada di ghiaia dove non potevamo procedere oltre i sessanta chilometri orari. Meglio così, anzi meglio andare ancora più piano per non lasciarsi sfuggire nessun animale. Dopo dieci minuti ci fermammo eccitati scattando foto a zebre e gazzelle. Brucavano l’erba alta e gialla. Alcune di loro si rifugiavano sotto l’ombra dei pochi alberi sparsi. “Non preoccupatevi tra poco vi stuferete di vedere zebre, gazzelle e ogni altro genere di antilopi. “The big cats”, i gattoni. Siamo qui per quelli.” Dave aveva fatto un safari in Sudafrica, anche se molti anni prima. Sapeva quello che diceva, glielo dovemmo riconoscere più tardi.
Era la prima volta che vedevo animali nel loro habitat naturale così vicini. Il safari (in swaili viaggio) in un parco nazionale come l’Etosha non è come andare allo zoo. Detesto gli zoo. Sono prigioni per animali deportati. Che ci fa un leone allo zoo in Europa? Nel parco invece gli animali erano liberi di correre, di riprodursi, di lottare, di vivere o morire secondo madre natura. L’unica cosa che li potesse disturbare erano i veicoli di noi guardoni e qualche click delle macchine fotografiche reflex. Spesso gli animali se ne fregavano di noi tant’è che potevamo avvicinarci senza che loro scappassero.
Arrivammo al campeggio con centinaia di foto degli stessi animali. Il campeggio era ben equipaggiato e protetto da un alto recinto di filo spinato. Dentro c’erano tutti i comfort, bastava pagarli. Un ristorante, camere lussuose e una piscina. Montammo la nostra tenda tra camper e autobus con assetto rialzato e rinforzato per lunghi viaggi su strade sterrate e piene di buche. C’era una pozza di circa una ventina di metri di diametro adiacente al campeggio. Ci si poteva comodamente mettere a sedere al sicuro dietro la recinzione e godere lo spettacolo degli animali che andavano ad abbeverarsi per ristorarsi dal arsura. Oltre alle innumerevoli gazzelle e antilopi c’erano degli gnu e arrivò pure un solitario elefante che fece scappare tutti fuori dalla pozza.
Nel pomeriggio andammo ad un’altra pozza vicino al lago asciutto dove ora si vedeva solo il fondo ricoperto da uno strato di bianchissimo sale. Mi venne sete al solo vederlo. Di animali ce n’erano parecchi ma erano sparpagliati e lontani. Spegnemmo il motore e aspettammo in auto. E’ proibito e pericoloso uscire a piedi in un parco nazionale con leoni e leopardi nascosti chissà dove. Dopo un po’ anche gli struzzi ci erano andati a noia e facemmo marcia indietro. Fino a quel momento avevamo avuto poca fortuna.
Passammo vicino ad una pozza a mezz’ora dal campeggio prima di rientrare. Parecchie auto erano parcheggiate, segno che c’era qualcosa. I primi gattoni erano lì, poco lontani dall’acqua e tenevano d’occhio le antilopi e le zebre che si abbeveravano impaurite tenendo d’occhi quegli sguardi famelici. C’erano almeno tre leoni, sdraiati e annoiati. Purtroppo non c’era uno spazio libero e li intravedevamo solamente tra le auto e gli autobus. Tutti esibivano le loro macchine fotografiche, alcune con obiettivi da paparazzo. Decidemmo di allontanarci dalla pozza e di spostarci lungo la strada. Saremmo stati più lontani, ma almeno non avremmo avuto nessuno ad ostruire la visuale.
Parcheggiamo con i leoni alla nostra destra. Eravamo lontani e solo gli obiettivi digitali inquadravano i leoni. Faceva caldo e abbassammo i finestrini. I leoni erano a trecento metri. Ero sul lato sinistro della vettura con il braccio a penzoloni cercando di prendere aria. Non era il massimo stare in un auto sotto il sole osservando dei puntini nella savana. Dave gridò:
“Holy shit! There’s a lion 10 feet from us.” Letteralmente “Santa merda! C’è un leone a 5 metri da noi.”
Mi girai dalla mia parte. Una leonessa guardava incuriosita il mio braccio a penzoloni fuori dalla vettura. Non esitai oltre. Tirai in salvo il braccio e comincia ad alzare velocemente il finestrino. Per quanto mi impegnassi, il finestrino si alzava lentamente. La leonessa perse interesse non vedendo il salsicciotto del mio braccio. Sbadigliò, si sdraiò e cominciò a leccarsi le zampe. A quel punto mi fermai e abbassai nuovamente il finestrino. Quattro macchine fotografiche si catapultarono fuori dall’auto e in pochi minuti avevamo abbastanza foto della leonessa da riempire una stanza. Volevamo vedere dei leoni, ma mai avremmo pensato di vederne uno così vicino e così inaspettatamente. Forse era lì ad aspettare che qualche gazzella scappasse dagli altri leoni e spaventata si dirigesse in quella direzione. Si sarebbe trovata la via chiusa. Dopo esseri lasciata fotografare e ammirare, la leonessa si alzò e andò a far compagnia agli altri leoni che teneva d’occhio le prede. Mentre si allontanava vide una giraffa di passaggio e gli corse dietro. La giraffa scappò, non che un leone da solo potesse tirar giù una giraffa. Forse voleva solamente provare a se stessa che poteva da sola far scappare un animale cinque volte la sua stazza.
Il sole scese dietro l’orizzonte e dovemmo rientrare senza conoscere il finale di quel appostamento. Prima di cenare, nella pozza del campeggio venne a trovarci un rinoceronte e una piccola famiglia di elefanti. Alla sera degli sciacalli gironzolavano in cerca di avanzi. Alcuni si avvicinarono a noi mentre mangiavamo. “No, non ti do nulla” dissi ad uno di loro che ci guardava da dietro la nostra tenda. “Puoi andare. Via. No, no. Vai via dalla nostra tenda. No. Hey! Che fai? No! No! No!” Lo sciacallo si avvicinò sempre più alla tenda tendendo lo sguardo fisso sul nostro piatto. Vedendo che non gli davamo nulla, per vendetta, alzò la zampa e con nonchalance fece pipì. A nulla servi corrergli dietro, aveva già marcato il suo territorio. Da quel momento odiai gli sciacalli.
Era la sera della finale dei mondiali di calcio e lì, in mezzo alla savana tra leoni, leopardi ed elefanti, avevamo un maxi schermo nel lussuoso ristorante. Ecco la vita selvaggia, calcio e piscina. Nonostante tutto non potei non guardare la partita.
Il secondo giorno fummo meno fortunati. Praticamente girammo a vuoto tutto il giorno. Sembrava che tutti gli animali ci evitassero, ad eccezione delle solite antilopi e zebre, di una iena e di un rinoceronte. Delusi lasciammo il campeggio il giorno dopo.
Eravamo diretti verso un altro campeggio al centro del parco. Fu la giornata delle giraffe, con le loro lunghe ciglia e di un gruppo di una ventina di elefanti che cacciarono via tutti gli animali dalla pozza inclusi tre leoni in appostamento. Prima di rientrare al campeggio per il pranzo bucai una ruota. Ero io alla guida quel giorno e sulla strada di ghiaia toccò a me forare. Chiamammo la guardia del parco che ci raccomandò di non uscire e di aspettare “Ci sono leoni e leopardi nella zona. Non uscite e non correte”. Arrivò e armato di fucile e ci aiutò a cambiare il pneumatico.
Purtroppo non vedemmo nessun ghepardo ne’ leopardi, ma uscimmo dal parco con le nostra braccia attaccate al corpo senza che il leone se le portasse con se’. Fu un’esperienza emozionate e carica di adrenalina. Vedere gli animali a pochi metri, sentirli ansimare, vedere i muscoli tendersi per una corsa, un salto, un combattimento tra pretendenti, o mamme che proteggono i piccoli e quest’ultimi che giocano in mezzo alla savana, alla natura provoca in me un brivido ogni volta che con la mente ricorro ai quei momenti.
Lasciammo il parco e si fidarono della mia guida nonostante avessi già distrutto una ruota e imboccai un paio di volte la strada contromano. Dopo cinquecento chilometri arrivammo a Swakopmund che era già buio da qualche ora. Piantammo la nostra tenda nel giardino di una guesthouse e andai dritto a letto esausto contando le gazzelle per addormentarmi più velocemente.
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