Giorno -3

Mi sveglio in ottima forma con un buon appetito. Ci credo sono due giorni che praticamente non mangio!

Esco per dare un po’ di ossigeno al mio corpo. Respiro tutto lo smog possibile di Kathmandu. Vago per la città facendo foto e scoprendo nuovi angoli. Arrivo fino al fiume per andare a visitare il tempio di Hanuman, ma mi spavento.

Il fiume di Kathmandu ha vinto il premio vomito per il fiume più sporco del mondo. Osservo il fiume impietrito. Non ho mai visto qualcosa di più disgustoso e lercio di questo fiume. Sono esterrefatto. Non mi capacito. Come è possibile che un gruppo di essere umani possa ridurre un fiume in tale stato. La puzza di fogna è terribile. Mi copro naso e bocca con la sciarpa che mi sono portato dietro ma non basta. Ci sono detriti e sporcizia ovunque. L’acqua ha un colore grigio scuro e trasporta di tutto. Tutte le schifezze di Kathmandu. E’ chiaro che non solo le fogne scaricano sul fiume, ma pure la gente getta i rifiuti organici e inorganici sul fiume. Vedo un fuoco acceso da qualcuno per bruciare parte di quello schifo. Dall’altra parte del fiume invece una persona con un sacco enorme che cerca forse plastica tra i rifiuti. Non lontano dal ponte principale c’è invece una mucca che si rilassa, comoda, su un letto di marciume.

Dovrò attraversarlo se voglio andare al tempio, ma siccome oggi è il primo giorno di recupero, faccio marcia indietro e vado in città a perdermi come piace a me tra le viuzze.

Si fa buio e le strette strade si animano di nepalesi che ritornano dal lavoro e vanno a fare la spesa. Le macellerie sono all’aperto a Kathmandu, per la gioia degli igienisti della recente repubblica e delle decine di mosche che organizzano feste a tema. Oggi il tema è: Yak. Una testa di Yak mi guarda fisso dal tavolo dove è sistemata. Gli sorrido ma non risponde. Proseguo tra frutta e verdura, scarpe, vestiti, elettrodomestici e prodotti per la casa. Uhm, non mi serve nulla oggi.

Torno all’albergo e mentre ceno ascolto una conversazione in francese tra due canadesi, pardon , québécoises. La ragazza è appena arrivata e s’è trovata la carta di credito bloccata e non ha potuto ritirare i soldi. Ha denaro sufficiente per pagare la stanza e per far colazione, poi se non risolve il problema è in un bel guaio o alla francese, merde.

Appena finiscono di parlare capisco che il vecchietto non può aiutarla più di tanto. Mi faccio avanti col mio dimenticato francese e la invito a farmi compagnia bevendo un tè. Mi spiega ancora il suo problema in inglese. Il mio francese non è poi così pessimo. Avevo capito tutto correttamente. Le offro il mio aiuto che consiste in:
“Vuoi ancora del tè al gelsomino?”
“Oui, merci.”
“Hai fame? Ti invito a cena.”
“No, grazie. Ho già mangiato due banane e oggi non ho molta fame” Almeno non comincia con la storia della dieta e che è da ritenersi fortunata che non ha da mangiare per una sera così rientra nella linea.
“Se vuoi di presto dei soldi per domani e fino a che non ti sbloccano la carta.”
“Uhm… vediamo domani. Ma grazie.”
E poi tante parole simpatiche e divertenti per tirarla su di morale. Mi passa per la mente di invitarla a condividere la stanza con me per salvare il costo della sua, ma non mi sembra il caso. E poi non è il mio tipo.

Stephanie, questo è il nome della ragazza canadese, pardon québécoises, è arrivata dalla Tailandia dove ha passato due settimane in alberghi di lusso con una comitiva di anziani. Non s’è divertita granché. Dice:
“Gli ultra sessantenni non hanno molta passione per la musica da discoteca e i party a base di cocktail e balli sui tavoli”.
“Che strano” commento io.

Resterà in Nepal per un mese. Poi proseguirà per Myanmar. Ha lasciato pure lei il lavoro. Era autista specializzata in muletti in un’azienda di logistica. Penso che deve avere due palle così e in effetti ha una personalità forte e sicura.

Concludiamo la serata a parlare del suo ex. Non è il mio tipo in ogni caso.