15.01 Kabanga, al confine del mondo

Kabanga! Il nome del villaggio suonava alle mie orecchie come un’invocazione di uno spirito della giungla. Kabanga… e lo spirito viene e porta via le anime maligne. Forse per questo tutto era tranquillo in quel minuscolo villaggio al confine tra Tanzania e Burundi, al confine del mondo.

Rimasi nella guesthouse meno costosa di tutto il mio viaggio, persino dell’India, per due notti. Il villaggio sperduto di Kabanga era servito dall’autobus per Mwanza, città sul lago Vittoria e seconda città della Tanzania per grandezza, solo una volta alla settimana. Dovendo aspettare per due giorni andammo in giro per il villaggio a curiosare.

Nessuno dei locali parlava inglese e fu divertente ordinare da mangiare. In qualche modo riuscimmo ad ottenere un piatto di riso e fagioli. In realtà era l’unica opzione disponibile. Al mattino cercai di farmi capire per fare colazione.

“Vorrei del tè” la risposta fu un poco convinto “…Yes”.

E mi arrivò un tazza di latte caldo appena munto. Buona lo stesso, anzi forse era meglio.

C’era ben poco da vedere. La gente sopravvive a Kabanga. Il mercato era piccolo e offriva solo banane e papaya. Seguii un sentiero che portava fuori dal centro abitato e in mezzo alle piantagioni di banane. Passai davanti ad una scuola e alcuni bambini mi seguirono a distanza osservandomi. Appena tirai fuori dallo zaino la macchina fotografica si avvicinarono e si lasciarono fotografare. La piantagione di banane era immensa e incrociai qua e là degli uomini che trasportavano enormi caschi di banane sulla testa o su vecchie biciclette. Attraversai la strada principale che portava fuori paese verso l’interno della Tanzania e mi ritrovai a tirare due calci ad un pallone costruito con sacchetti di plastica appallottolati e tenuti insieme da uno spago. I ragazzini non avevano i soldi per potersi permettere un pallone e così si arrangiavano come potevano immaginandosi di essere Drogba, Messi o Ronaldo.


Parlai con un paio di uomini d'affari in viaggio verso o da il Burundi. Un congolese mi chiese come far ad arrivare in Italia e se lo potevo aiutare. Invece dalla Tanzania ebbi offerte di investire in piantagioni di banane e caffe'.

Alla sera, invece del solito riso con fagioli, mi fu presentato un piatto di banane lesse con del sugo a base di pomodoro. Le banane lessate in bocca avevano la stessa consistenze e sapore delle patate. Curioso e buono, anche se non sarebbe mai stato il mio piatto preferito.

Avevamo acquistato il biglietto per Mwanza per il giorno seguente.
“L’autobus parte alle 11pm. Vi verremo a svegliare.”
“Grazie,ma non ce ne sarà bisogno. Saremo già svegli alle 11 e avremo tempo di fare colazione. “ Pensammo che nel loro inglese approssimativo 11pm volesse dire 11am, le undici del mattino.
Alle cinque del mattino qualcuno venne a bussare con forza alla nostra porta.
“Musungu, musungu. Bus.”
“Come? Ma che ora sono? Sono le cinque del mattino cazzo!”

L’autobus era pronto e aspettava solo noi. La spiegazione fu molto semplice. In Tanzania, e anche in Kenia ed Etiopia, l’orario locale differisce di sei ore rispetto al nostro modo di contare le ore del giorno. Per loro il giorno comincia alle 6 del mattino e finisce alle 6 di sera. Perciò mezzogiorno sono le 6am, mezzanotte, 6pm, e le 5 del mattino sono le 11pm, un’ora prima del nuovo giorno che comincia alle 6. Da quelle parti essendo vicini all’equatore le giornate hanno grosso modo la stessa lunghezza durante tutto l’arco dell’anno. Per loro è naturale cominciare il giorno al sorgere del sole, attorno alle 6 del mattino e finirlo quando il sole tramonta, alle 6 di sera.
“Ma non è forse un po’ strano cominciare il giorno alle 6 del mattino?” chiedemmo.
“Beh, non è forse ancora più strano farlo cominciare a mezzanotte, in piena oscurità?”
Effettivamente non potevo dargli torto.

Il viaggio in autobus fu lungo e pieno di soste di appena qualche minuto per far scendere e salire passeggeri nei loro villaggi e per dare il cambio ai due poliziotti di scorta. Non li avevo notati subito, ma dopo la terza sosta e il terzo cambio di persone che si sedevano vicino all’uscita notai che avevano con loro un fucile a testa. La zona a est del lago Vittoria verso il Burundi non era tranquillissima. Alcuni autobus erano stati fermati da dei fuorilegge e derubati. Per questo motivo, a noi sconosciuto fino ad allora, il nostro autobus era scortato.

Ad un cambio di guardia salì un ciccione che occupava un sedile e mezzo, mentre il compagno, era ovviamente, il suo complemento piccolo e magro che occupava mezzo sedile. Ad un posto di blocco c’era una signora taglia forte che indossava un coloratissimo vestito tradizionale composta da una gonna lunghissima e da uno scialle che era usato come copricapo avvolto come una spirale col fiocco attorno alla testa. L’altro particolare era un fucile a tracolla. Non riuscivo a dipingere quell’immagine nella mia mente, c’era qualcosa che non tornava. Lei mi sembrava una forte e robusta madre africana che si prende cura dei figli e che lavora duramente a casa e nei campi. Probabilmente madre lo era, ma non lavorava nei campi, giocava a fare la poliziotta.

Prima di raggiungere Mwanza fummo fatti smontare in riva al lago e fatti salire su un traghetto per attraversare una delle ampie insenature che proseguono per diversi chilometri nell’entroterra. Sgattaiolammo fuori dall’autobus dove dovevamo stare e salimmo al livello superiore godendo una stupenda vista del lago Vittoria. C’erano isolotti sparsi all’orizzonte e la costa era costellata da ammassi rocciosi che rendevano difficile attraccare lontano dal punto di imbarco e sbarco del traghetto.
Attraversai così il lago Vittoria e arrivai a Mwanza. Ma era solo un assaggio. L’avremmo attraversato per bene da sud a nord per andare in Uganda. Almeno questo era il piano.