Attraversando il Kurdistan in Turchia per andare Iran
- Kategorie:
“I nostri soldati sono i migliori soldati!” cantava un gruppetto di giovani a Istanbul.
“Perché cantano inneggiano ai soldati in questo modo?” chiesi ai miei amici turchi.
La risposta fu semplice e diretta “Perché siamo in guerra e supportiamo chi difende i valori e l’onore della Turchia”.
Chiaro. Difendere la propria patria lo comprendevo, anche se il concetto di confine politico come verità necessaria all’organizzazione mondiale, dal momento che sono in giro per il mondo, non riesco a digerirlo molto bene quasi fosse un salsicciotto Kasekrainer al mercato delle pulci di Vienna. La cosa che non capivo era “Ma in guerra con chi?”.
Mi fu spiegato che in Kurdistan ci sono ancora scontri anche se non pubblicizzati, soprattutto dai media internazionali. Siccome agli americani, inglesi e francesi non interessa, allora non si sa bene cosa succede da quelle parti. Ogni anno soldati, membri del PKK e civili ci lasciano le penne per una rivendicazione di indipendenza. I kurdi vogliono la loro terra che attraversa Iran, Siria, Turchia e Iraq. Guarda caso, l’unico Paese che ha riconosciuto qualcosa ai kurdi è l’americano Iraq.
La storia è sempre la stessa: chi vuole l’indipendenza e chi non gliela vuole dare. I motivi sono lunghi da descrivere, ma nulla che sia nuovo. Niente di diverso dai Catalani, dai Baschi, dai Fiamminghi, etc… Solo che noi “Europei” (I turchi sono o no Europei??? Vista Istanbul e dopo aver gelato in Cappdocia, direi di sì) siamo pronti a essere giudici e condannare il governo turco per come si comporta in Kurdistan negando autonomia e indipendenza, mentre in casa nostra non siamo dello stesso avviso, ad esempio non ho incontrato un Europeo che dica che i Paesi Baschi meritano l’indipendenza, ne’ tantomeno la Catalogna ne’ le fiandre.
In ogni caso ci sono comportamenti diversi in Kurdistan. Incontrai un estremista kurdo in viaggio da Diyarbakir a Mardin. Lo definii estremista dopo averci parlato un po’, quando mi disse che non c’è possibilità di dialogo tra le parti, che lui andava in Iraq a studiare in kurdo perché detestava la Turchia e che sperava che Diyarbakir diventasse la capitale del Kurdistan. Aggiunse che in Turchia ci sono 35 milioni di kurdi! Il 50%??? Forse avrà trovato la notizia su wikipedia in un articolo scritto dal capo della propaganda kurda… aggiunse anche che nell’autobus tutti erano kurdi e che a Mardin, città al confine con la Siria dove comincia la Mesopotamia, sono tutti Kurdi. E noi testammo la falsità di quest’ultima affermazione facendoci cacciare malamente da un ristorante parlando col proprietario e tirando fuori orgogliosi le due parole kurde che avevamo appena imparato. Invece di ricevere un kebab gratis, come speravamo di ottenere suscitando simpatia, l’austero ristoratore ci guardò molto male e ingrossando la voce ripeté le parole in turco, sottolineando con ampi gesti della mano che eravamo in Turchia, nella terra di Ataturk.
Il terzo esempio di come vivono la questione Kurdistan gli abitanti della regione mi venne da uno studente il quale era contento che potessimo dire grazie in kurdo e che ci valse un invito a restare alla casa dello studente per un concerto di musica al quale a malincuore dovemmo rifiutare, al tempo stesso non gliene frega assolutamente niente dei risvolti politici.
Arrivati a Van, città sul lago al confine con l’Iran, ho avuto la fortuna di poter confermare che i lacrimogeni non fanno bene. Uscii a far colazione lunga la strada principale della cittadina che d’estate si riempie di turisti che devono assolutamente vedere il lago e fare trekking su per le montagne che d’inverno si coprono di neve e lasciano la gente piacevolmente intorpidita. Mentre rientravo notai delle camionette della polizia che sfrecciavano a destra e a sinistra con sirene spiegate tra il traffico. Drappelli si creavano ad ogni incrocio e mi fermai a vedere cosa succedeva. Mi mancava solo la macchina fotografica per essere il turista per caso che film l’evento da mandare alla CNN che tanto poi non trasmetterà. Un poliziotto in borghese riconoscendo il backpacker curioso e rompiballe mi gridò qualcosa in turco e siccome il mio sguardo da gabbiano sulla banchina era esplicito, indicò con gesti in equivoci che dovevo levarmi di torno.
Era proprio il mio giorno fortunato. Mi diressi verso l’albergo aggirando i due fronti, manifestanti da una parte che lanciavano sassi anche da una posizione privilegiata come il tetto di un grande magazzino che vendeva indumenti di qualità e poliziotti dall’altra che rispondeva con getti d’acqua che per renderla più simpatica l’avevano colorata. Non riuscii a svoltare l’ultimo angolo che vidi una marea umana corrermi incontro inseguita da una spessa nuvola di fumo che mi ricordava “il nulla” del film “La storia infinita”. Erano lacrimogeni. Corsi via anch’io. Imboccai insieme a bambini e padri di famiglia una stradina che portava verso la montagna che bianca se ne fregava di quello che succedeva là sotto. Ma non era l’unica a sbattersene. Se in una strada c’erano degli scontri, nella parallela la gente andava in giro a fare dello shopping come niente fosse o come fosse una cosa quotidiana. La questione kurda sembra non interessi a tutti i kurdi… Sembra che la maggior parte dei kurdi e turchi vogliano solo vivere la propria vita e pensano che sparare, lanciare sassi o mettere bombe sia una cosa stupida. Spero che la maggioranza, che a volte ha ragione, non si faccia schiacciare dalla minoranza.
Gli scontri durarono per un paio d’ore al massimo senza nessuna conseguenza grave se non una vetrina rotta prontamente riparata per lo shopping serale. Il bruciore alla gola durò per circa mezz’ora. La memoria durerà a lungo.
Il giorno dopo partimmo per l’Iran senza aver visto il lago di Van, in fin dei conti ci siamo detti “E’ solo un lago”. Il passaggio del confine fu un gioco da ragazzi. Attraversammo Sero circondato da montagne innevate e abitate da greggi di pecore con contorno un paio di posti di blocco. Lungo la strada ci fu solo un piccolo contrattempo. Alcuni ragazzi di un villaggio sperduto dal colore marrone terra e fango avevano dato fuoco a dei bidoni in mezzo alla strada e dovemmo aspettare che la polizia li rimuovessero. Mentre attendavamo quei ragazzi spuntarono fuori da una stradina laterale. Con la mano ci salutarono sorridenti e orgogliosi della bravata, alcuni avevano pure il volto coperto da una sciarpa. Noi contraccambiammo il saluto, con i ragazzini non si sa mai...
- blog di Unprepared Andrea
- 2021 letture