Amritsar e la British conspiracy
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“Secondo voi chi tira i fili del mondo di adesso? Chi è il gran burattinaio che governa il mondo?”
“Ovvio, gli Stati Uniti.” Risposi. “Sono loro che fanno il bello e il cattivo tempo in giro per il mondo.”
“Ed è proprio qui che ti sbagli.” Disse il didattico Michal. “Nulla succede senza il consenso dei gentlemen vestiti di tutto punto a Londra.”
La British conspiracy era la nuova teoria che Michal introdusse nel mio mondo. Ne avevo sentite innumerevoli, ma che gli inglese detenessero ancora il potere nel mondo m’era sfuggita.
Dentro al Golden Temple Michal, il tedesco silenzioso, aveva trovato in me e Franta due attenti ascoltatori e dava sfogo alla sua nascosta loquacità. Michal era un tedesco che aveva detto basta al mondo occidentale e s’era andato a rifugiarsi tra i monti del Nepal.
“Me lo hanno rovinato il Nepal. I Maoisti. Me lo hanno rovinato.” Si lamentava. Ne aveva per tutto e tutti e spaziava dalla politica all’economia senza timori. Tornava in Germania oramai raramente e lo faceva via terra. Era costretto a passare dall’India, terra che a lui non piaceva, ma che nonostante tutto gli aveva donato degli amici nelle varie città di passaggio e che lo accoglieva a braccia aperte ad Amritsar, dentro il Golden Temple. Un anno fa durante il suo viaggio verso l’Europa, la sua auto s’era rifiutata di attraversare l’Iran e ora giaceva stanca e con chissà quali problemi al motore, al confine. “Ho parlato con il capo delle guardie e tengo l’auto in un posto riparato fino a che non andrò a prenderla.” Era passato un anno. Spero che abbia trovato ancora la sua auto.
Dentro al Golden Temple è possibile pernottare gratuitamente in camerata adibite all’accoglienza dei pellegrini. Noi alloggiamo nella camerata semi vuota per gli stranieri.
Faceva freddo e la nebbia che era scesa alla sera penetrava fino al midollo. Ciononostante se volevamo vedere il tempio d’orato dei Sikh dovevamo toglierci le scarpe, camminare sul freddissimo marmo bianco, circumnavigare il lago e attraversare il ponte che collega il tempio rivestito d’oro dal resto del complesso in marmo bianco. Mi spiaceva prendermi il raffreddore stando a piedi nudi, ma non c’era alternativa se si arriva a gennaio ad Amritsar!
Entrati nel complesso religioso tra la nebbia, in mezzo al lago, si intuiva un palazzo con alcune luci colorate. Certo con quella visibilità era ben lontano da essere il monumento impressionantemente bello che mi aspettavo, ma l’atmosfera padana gli dava un’aria misteriosa e sacrale che eliminò parzialmente la sofferenza dei miei piedi congelati e mi catturava emotivamente.
Il giorno dopo feci lo stesso percorso stavolta con il sole e migliaia di turisti e pellegrini. Una pennellata d’oro su campo color marmo bianco. Spettacolare e armonioso.
Alla sera rischiai il primo pasto indiano, riso con verdure piccanti. Fu la prova della verità. Dovevo capire se ero guarito da Lahore e soprattutto se stavolta avrei potuto godermi il viaggio in India o se avessi dovuto mangiare riso in bianco per i prossimi due mesi come fui costretto a fare praticamente ogni giorno quattro anni prima durante la mia prima visita.
Avevo già attraversato l’India da Est a Ovest precedentemente e all’imbarco per il viaggio di ritorno in Europa dissi addio all’India. Era una bandierina sulla mappa del mondo, una crocetta sulla lista dei Paesi da visitare. Non m’era piaciuta e non volevo tornarci. Ma era in India che mio zio si trovava e dovevo passare dall’India per andare in Nepal via terra. Diedi all’India un’altra possibilità e stavolta il nostro rapporto era cominciato bene.
A causa della nebbia parecchi treni furono cancellati e l’unica opzione per raggiungere Delhi era un autobus notturno. Certo, la nebbia è più pericolosa sulle strade che sulle rotaie. Ma questa è l’India, un insieme di paradossi che non finiscono mai di stupire.
- blog di Unprepared Andrea
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