Bombay, tra i bassifondi di una citta' ricca

Se cerchi povertà nella baraccopoli di Bombay, beh, la trovi. Nel Commonwealth, le baraccopoli si chiamano slum. Di wealth, benessere, hanno ben poco, se non procurarlo a chi le sfrutta.
Nel mio soggiorno a Bombay non sapevo di preciso dove andare. Ovviamente I musei sono esclusi dalla mia lista di esperienze, e la città non offre moltissimo.

“Perché non vai a visitare uno slum?” Ash lanciò l’idea a cena chiacchierando a proposito dell’India, della crescita economica e del finto livello di educazione che viene così bene pubblicizzato come fiore all’occhiello.
“Visitare uno slum?” Ripetei credendo di non aver capito bene.
“Certo, se vuoi vedere la realtà dell’India e di Bombay, allora non puoi non toccare con mano il mondo parallelo che pulsa ai margini della città.”

In realtà le baraccopoli sorgono al centro del territorio di Bombay e in qualsiasi spazio non costruito. Già dal treno avevo notato che nelle strisce di terra tra le rotaie e i palazzi o le strade, gli spazi non erano riempiti da alberi o semplicemente erbacce, c’erano abitazioni ovunque. Per lo più fatte di lamiera e teli blu, con donne avvolte nei loro sari colorati indaffarate a lavare, cucinare, essiccare fango ed escrementi per ottenere combustibile, e bambini con magliette sporche e pantaloncini lerci che andavano e venivano raccogliendo di tutto. Gli uomini con pantaloni lunghi che non vedevano il sapone da molto tempo e sandali di plastica che avrebbero distrutto qualsiasi piede sano, trasportavano sacchi enormi sulle spalle o spingevano carri carichi all’inverosimile, oppure semplicemente guardano il treno passare.

“Ma non si può visitare un luogo simile.” Replicai sconcertato da quel suggerimento. “Entri e non sai come e se esci. E’ pericoloso. E’ lurido. E’ disgustoso. E’ malsano…” rimasi a corto di parole negative “Come la prenderesti tu, se una persona venisse a vedere le condizioni misere in cui vivi e lavori? Ti piacerebbe che un riccone bianco venisse a vedere come cucini il riso e lavi i panni e ti guardasse meravigliato perché lui i piatti li fa lavare dalla domestica nella lavastoviglie? La povertà non è da guardare, ma da aiutare a eliminarla e combattere.”
“Vedi Andrea, da quello che hai appena descritto, capisco che ti farebbe bene andare a vedere una realtà della quale non hai ben chiare le idee.” Mi riprese Ash e continuò. “Lo slum è ben diverso da quello che ti aspetti. Certo troverai povertà e le condizioni sono pessime. Forse anche peggiori di quello che pensi. E’ comunque una realtà che genera circa 500 milioni di dollari di fatturato. Dove ci sono piccole officine che producono per tutta Bombay, forse anche prodotti che hai mangiato stamattina. Ci sono dei volontari che organizzano dei tour il cui ricavato viene poi speso in scuole o altri progetti educativi per i ragazzi. Con delle guide puoi vedere e capire cosa vuol dire vivere in uno slum e anche aiutarli. Ti conosco e tu non andresti a scattare fotografie come fossi allo zoo. Lo visiteresti interessato, cercando di capire con rispetto. E la gente si sentirebbe orgogliosa di far vedere quanto valgono. Devi andare.“

Il giorno seguente contattai i volontari seguendo il sito www.realitytoursandtravel.com e mi misi d'accordo per il giorno seguente. Sarebbe stata una visita di un paio d'ore in un gruppo di sei persone. Vietato fare foto e dovevo portare delle scarpe chiuse. Ero pronto a essere stupito. Ero un po' inquieto. Avevo i miei pregiudizi, ma ero incuriosito da quel tour atipico.

Raggiunsi la guida e altre cinque persone alla stazione di Mahim, adiacente al quartiere di Dharavi dove si trovava uno delle due grandi baraccopoli di Bombay. La guida era un ragazzo che viveva nello slum. Aveva 18 anni e parlava un ottimo inglese. Era uno studente in un istituto scientifico e sperava di entrare in un college per poter continuare a studiare chimica. Durante le due ore e mezza ci riempì di dettagli con una parlata sciolta e simpatica. Due erano le regole: no foto e rimanere in gruppo vicino a lui, che non si sa mai.

Il giro cominciò attraversando il ponte che oltrepassa la ferrovia ed entra nella baraccopoli. Appena messo piede in quell’area non mi sembrava di essere in un luogo tanto diverso da alcuni angoli delle città indiane che avevo già attraversato controvoglia. Lungo una via polverosa c’erano poche bancarelle che vendevano prodotti già visti e le case erano in mattoni e dall’aspetto grigio e pericolante. Ai lati della strada c’erano i soliti piccoli ammassi di rifiuti che aspettavano di essere raccolti. Camminavamo contro il flusso di persone indaffarate con pantaloni e magliette che definirei “normali” anche se vecchie e impolverate. Girammo accanto ad un cinema con ben venti posti dove trasmettevano di continuo film prodotti dalla vicina e ricchissima bollywood, e ci intrufolammo in viuzze che diventavano via via sempre più strette e dove si incontravano operai che uscivano dalle officine carichi di prodotti o macchinari. Eravamo nella zona della produzione della plastica che veniva riciclata dopo essere stata raccolta per strada e nelle discariche dai bambini coi loro enormi sacchi.

A Dharavi vivevano un milione e mezzo di persone in meno di due kilometri quadrati e all’interno ci sono piccole fabbriche e officine dove i lavoratori, pagati quasi nulla e senza protezione in caso di infortuni, vivono. Mentre visitavamo i vari luoghi di lavoro la gente era orgogliosa di mostrarci ciò che faceva.

Salimmo sul tetto della prima fabbrica e la vista delle baracche era interminabile. Al centro sorgevano alcuni palazzoni sovraffollati e un ospedale dove era meglio non farsi curare. A nord si intravedeva una discarica e gente che camminava su e giù. Tutt’attorno Bombay cresceva imponente con autostrade, centri commerciale e grattacieli.

Incurante era la parola. Non era la parola giusta ma era la prima che mi veniva in mente. Ripensandoci non era corretta. Questi bassifondi non venivano ignorati dal resto della città, ma erano parte della città. Qui venivano prodotti beni distribuiti a Bombay e in India da imprenditori senza scrupoli che vivevano in ricchi palazzi, ma era così che andavano le cose. Dharavi è parte dell’India, e se alcuni si stanno sforzando per cambiare la situazione di questi agglomerati, altri, inclusi gli stessi abitanti non si interessano più di tanto rassegnandosi al loro posto nella società.

Alcune abitazioni erano occupate da gente di passaggio. Erano affittate a chi lavora in città e che non può fare il pendolare perché o il lavoro non lo permette o il villaggio è troppo lontano.

Attraversammo vicoli larghi quanto un uomo con fili elettrici che cercavano di impiccarmi accolti da “Hello” di bambini sorridenti che sbucavano fuori dai muri. Un filo di luce passava appena tra quelle gallerie e giungemmo ad uno spiazzo ricoperto di rifiuti. Ci trovavamo di fronte alla latrina pubblica a pagamento usata solo da chi poteva permettersi il lusso di utilizzare il bagno anziché essere costretto a fare i propri bisogni a cielo aperto. C’era una puzza fortissima e mosche che ronzavano attorno a bambini e adulti che cercavano qualcosa di utile tra i rifiuti. L’ente pubblico avrebbe dovuto raccogliere i rifiuti ogni giorno da quella piazza e portarli nella discarica, ma sarebbero stati felici di vederlo fare una volta alla settimana, cosa che non accadeva mai.

Proseguimmo per una zona più calma e pulita dove dei ragazzi giocavano a cricket in una piazzetta. Ci unimmo donando un motivo di risate a crepapelle. I due piloti inglesi con noi si dimostrarono all’altezza, ma il resto di noi europei fu un dramma.

Visitammo una scuola privata dove si insegnava in urdu. Per accedervi dovevano pagare qualche centinaio di rupie al mese e le condizioni erano molto migliori delle scuole pubbliche. Qui c’erano solo una cinquantina di bambini per classe, anche se l’insegnante quando arrivammo dormiva sulla cattedra tant’è che si accorse di noi solo quando eravamo già tutti dentro camminavamo con i bambini aggrappati alle gambe o li lanciavamo per aria tra grida di divertimento.

L’ultima parte del tour ci portò attraverso i forni a cielo aperto per i vasi di terracotta tra le case della prima comunità dello slum arrivata decine di anni prima dal Gujarat. Il fumo rendeva l’aria irrespirabile e le malattie all’apparato respiratorio erano cosa comune. La nostra guida abitava in quest’area e passammo a porgere gli omaggi alla famiglia.

Alla fine del tour arrivammo alla scuola per bambini e ragazzi allestita dai volontari in una zona che ormai sentivo “normale”.

Fu un’esperienza interessante che suggerirei di fare. Avevo un’idea totalmente negativa e di assoluta povertà, e alla fine della giornata, l’idea di povertà e di sfruttamento rimase, anche la criminalità e pessime condizioni di vita non fuggirono dai miei occhi e pensieri, ma acquistai una nuova idea di dignità e comprensione per questo tassello della più grande democrazia del mondo.