Giorno 17 Gorak Shep - Kala Pattar - Pangboche

5000 x 4. E’ fatta.

Fa freddo a 5540 metri all’ombra dell’Everest. Sto aspettando il sorgere del sole da mezz’ora. In due ore sono arrivato in cima, meglio di quanto pensassi, ma sempre dopo Franta. Salire a Kala Pattar (Pietra Nera in nepalese) è più semplice che andare sulla punta di Gokyo Ri. Solo gli ultimi cinquanta metri è una arrampicata sulle rocce nere fino alla cima.

Mi sembra quasi di toccare Pumo Ri che si trova alla sinistra. Il sole getta i suoi raggi sulla montagna e li vedo avanzare, ma restano ancora lontani. Alcuni escursionisti, tra i quali i danesi col mal di testa, sono già scesi perché non sopportano il freddo. Io ho tutti gli strati a mia disposizione su di me, ma non riesco a scaldare le mani e i piedi. Saltello su una pietra. E’ curioso fare ginnastica a 5540 metri.
Siamo partiti poco prima delle 5 con le lampade sulla testa. La salita è faticosa, ma non eccessivamente. Sono salito piano e sono arrivato alla cima con largo anticipo. Ora stiamo aspettando al freddo mangiando cioccolata e bevendo l’acqua che si è già ghiacciata.

Finalmente comincia il conto alla rovescia. Vedo il sole che arriva da Pumo Ri. Meno 5, 4, 3, 2, 1 eccolo accecarci e riscaldarci. Ora possiamo scendere.

Mi chiedo perché siamo venuti quassù all’alba. Di certo non per scattare foto visto che abbiamo il sole contro. Per accecarci? Per patire il freddo? Non mi sembrano buone ragioni. Il motivo principale è che dobbiamo scendere a valle velocemente. Ciononostante aspettiamo almeno un’ora prima di scendere. Il sole si alza e ci è possibile fotografare. Everest, Nuptse, il campo base, il micidiale Kumbhu Icefall, il ghiacciaio, Pomu Ri, Kumbutse, la lontana Ama Dablam, Gokyo e il lago, mi sembra pure il Makalu, ma non ne sono sicuro.

Erigiamo il solito altarino di pietre piatte e nere e mi godo il panorama in silenzio e riscaldato dal sole.

Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.


Che pace. Che gioia. Poter rimanere quassù in compagnia di se stessi per ore sarebbe fantastico. Ma abbiamo una corsa a valle da fare.

E’ una situazione assurda. Siamo arrivati al culmine del nostro viaggio in Himalaya, abbiamo raggiunto la meta prefissa, e ora dobbiamo correre giù e lasciare tutto alle spalle velocemente. Neanche il tempo di godere appieno della scalata che davanti a noi c’è un pezzo di strada altrettanto impegnativo seppur in direzione opposta e per ragioni diverse.

Dobbiamo arrivare a Periche o a Pangboche.

Scendiamo velocemente e facciamo colazione e pranzo insieme. Dopo essere saliti di circa 400 metri oltre i 5000 metri ora dobbiamo scendere di almeno 1500 metri in altitudine e non so quanti chilometri in lunghezza. E’ prassi di fare questa lunga discesa dopo Kala Pattar e noi non ci tiriamo indietro.
Voliamo per ore ripercorrendo all’inverso la strada di ieri e di due giorni fa. A Duglha scendiamo fino all’enorme letto del fiume e corriamo a fondo valle saltando da sasso a sasso per evitare di finire impantanati. Arriviamo a Periche e Kul vuole fermarsi lì da un suo amico. Pranziamo ma vogliamo continuare. Potremmo fermarci, ma oramai abbiamo in mento Pangboche come obiettivo e ci sentiamo in dovere di arrivarci. C’è ancora luce e in un’ora e mezza dovremmo essere lì.

Forse abbiamo fatto arrabbiare Kul perché, pur conoscendo il nostro problema con le vertigini ci mostra una scorciatoia.

Passiamo un ponte stretto giriamo a sinistra comincia la salita su una strada stretta sale il sentiero di pietre ora diventa terra arida sale circondando la montagna sotto il fiume scorre tra rocce si fa rumoroso diventa piccolo noi saliamo il sentiero si stringe più saliamo più diventa stretto la terra diventa sabbia c’è un buco davanti a noi dimezza lo spazio per passare sono davanti mi giro chiedo a kul che è secondo se è la strada giusta per noi troppo tardi per tornare indietro accelero il passo per paura di scivolare Franta è in trance abbassa il cappuccio per non vedere sotto saliamo si concentra sulle gambe di Kul io quasi salto il buco proseguo velocemente in apnea non ho tempo di fermarmi non c’è più spazio per girarsi si può solo andare avanti il fiume non si sente più perché il vento comincia a soffiare forte sotto è tutto piccolissimo ho spazio solo per un piede dopo l’altro saliamo dovrei prender fiato ma invece accelero Kul silenzioso dietro di me e Franta non posso più vederlo perché non c’è spazio per girarsi c’è un altro buco dove il terreno ha ceduto porta direttamente sulle rocce lisce del fiume mi costringe ad un passo più lungo quasi un salto spingo più forte per salire in fretta quasi non respiro più la polvere si alza a causa del vento mi entra negli occhi ma non posso chiuderli perché devo continuare devo vedere dove metto i piedi respiro polvere freddo e fretta fra l’abisso a sinistra e la montagna a destra diventa più ripido spingo più forte l’adrenalina mi tiene in forza non respiro più una roccia come uno scalino una roccia più grande uno scalino più grande… un piano largo e ampio.

Sopra l’impervia salita arriviamo alla strada per Pangboche che sembra un immenso prato pianeggiante. In realtà è in leggera discesa. La corsa lungo la striscia di terra che costeggiava la montagna mi ha svegliato. Ero stanco e provato a Periche e ora mi sento energetico.

Malediciamo Kul per la scorciatoia e lui se la ride anche se non mi sembrava ridesse molto quando lo guardavo di sfuggita durante la salita. Ora è alle nostre spalle e arriviamo a Pangboche in tempo record.
Ancora due giorni e saremo a Lukla. Ancora due giorni e diremo “ciao” a queste montagne. Ancora due giorni ed è finita.

5000 x 4 è fatta.