Giorno 14 Dingboche - Chhukung Ri - Dingboche
Appena partiamo saliamo per una cinquantina di metri e subito sento il fiato che manca. Siamo poco sopra Dingboche e camminiamo tra massi enormi costeggiando il fiume alimentato dai ghiacciai intorno. Il percorso fino a Chhukung è in lenta ma costante ascesa. Capisco che devo rallentare e mantenere un passo costante come abbiamo fatto ieri per salire a Tengboche.
Kul non è con noi oggi. Riposa dopo le fatiche di ieri. Noi invece abbiamo deciso di andare oltre i 5000 metri per gustare un panorama diverso. Non andiamo a vedere il Padrone di casa, ma i vicini dell’Island Peak e dintorni.
Con noi abbiamo uno zaino con poche cose e ce lo passiamo di tanto in tanto per dividerci il carico. A Chhukung lo lasciamo in una lodge e dopo un tè partiamo per la cima.
Salgo lentamente e per la parte iniziale sono io a dettare il ritmo. Superiamo una prima cima e ci troviamo di fronte un’interminabile salita dritta. Ha una forma particolare questo pezzo. E’ molto largo e diventa roccioso solo nella parte finale. Mi da l’idea assurda di un prato di pianura che però è stato accidentalmente inclinato. Vedo altri escursionisti che stanno per cominciare il tratto roccioso.
E’ una bella giornata di sole e quando arriviamo a 4900 metri facciamo una sosta. E anche oggi, ciao ciao Monte Bianco. Sono sorpreso positivamente di come sto salendo. Mi giro spalle alla cima e rimango senza parole come Franta, se non “wow!”. Davanti a me c’è un muro bianco. Le cime dell’Island Peak si confondono con altre e diversi ghiacciai scendono dalle loro pareti. Alle pendici i ghiacciai si riversano in una unica lingua bianca. Il sole alto li rendono di uno splendente accecante. Vogliamo salire per vederli ancora meglio. Ma già così basterebbe a farmi tornare indietro soddisfatto.
Prima di salire ho detto a Franta che sarei arrivato almeno fino a superare i 5000 e mi sarei fermato lì se mi fossi reso conto che il mio fiato non mi avrebbe supportato. Per ora va bene anche se faccio fatico a recuperare l’ossigeno.
Continuiamo a salire e faccio cenno a Franta di proseguire da solo perché mi sarei potuto fermare in ogni momento. La mia meta non era arrivare fin sopra a toccare i quasi 5500 metri. Mi sarei accontentato di 5100.
Faccio sempre più fatica a respirare anche se non è così drammatico come a Gokyo, ma oggi le mie motivazioni sono diverse e forse non arriverò fino a sopra. Tengo Franta a circa 50 metri di distanza sopra di me e penso più volte di fermarmi. Poi Franta mi grida da la sopra:
“Forse oggi non dovremo arrivare a 5500 metri. La strada buona finisce qui.” Si trova a circa 5350 metri, più o meno lo stesso livello di Gokyo. Rinvigorito da questa notizia che fa la nostra meta più vicina e a pochi passi, salgo tutto d’un fiato senza mai fermarmi. Siamo per la seconda volta sopra i 5000 metri! Il motivo per cui non avanziamo oltre fino alla vera cima è che da dove siamo si diramano due direzioni, la prima attraverso un orlo innevato sale forse di altri 50-70 metri, la seconda segue delle rocce che a nostro avviso devono essere scalate in modo proprio. Non è per questo che siamo qui.
Il panorama è lo stesso che abbiamo visto 400 metri più in basso, solo con una luce più viva e un contrasto con l’azzurro del cielo ancora più forte. Sull’altro lato invece il paesaggio è completamente diverso. C’è un altro ghiacciaio, ma appare coperto di rocce e sassi. Le pareti delle montagne vicine ostruiscono la visuale sul resto dell’Himalaya e sono stranamente senza neve. Mi da l’impressione di un paesaggio arido. Con i colori e l’aspetto così diverso a distanza così vicina sono due contrasti fortissimi. Sono emozionato.
Raccolgo dei sassi piatti e li metto uno sopra l’altro come una preghiera di buon auspicio copiando quelli che sono stati eretti sul piccolo spiazzo dove siamo ora. Ma rimaniamo per poco tempo.
“Guarda le nuvole la sotto.” Franta indica due spruzzi bianchi sul cielo azzurro che si muovono dalla valle verso il villaggio a 600 metri sotto di noi. Ci guardiamo. Mettiamo via le macchine fotografiche e cominciamo la discesa. Non vorremo di certo farci cogliere quassù dal brutto tempo.
Se per salire ho impiegato due ore e un quarto (a Gokyo per la stessa distanza ce ne sono volute tre e oggi avevo alle spalle altre due ore di cammina e oltre 300 metri di dislivello) per scendere sono bastati 45 minuti. Siamo volati a valle.
Al villaggio ci raggiungono le nuvole e il tratto tra Chhukung e Dingboche lo facciamo immersi nel grigio. Fortunatamente non piove, ma sbagliamo la parte per entrare a Dingboche. Per un tratto temo di averlo superato. Siamo un po’ smarriti, ma scavalcando una collinetta ci accorgiamo di aver seguito il fiume troppo da vicini e siamo arrivati alla parte inferiore del nostro villaggio, mentre la nostra lodge è in alto. Scavalchiamo un paio di muri in pietra che servono a delimitare i campi e i recinti per gli yak sperando che nessun contadini si incazzi. Arriviamo alla nostra lodge stanchi, ma anche oggi molto soddisfatti.
Decidiamo di tentare il tragitto lungo domani così rientreremo nella nostra tabella di marcia. La camminata di oggi fin lassù dovrebbe averci aiutato ulteriormente con l’altitudine. Non abbiamo mal di testa. Dovremmo essere a posto. In caso ci fossero problemi avremo tempo di scendere. Tutto sembra essere sotto controllo.
Allora è deciso, domani faremo un passo decisivo per completare il nostro piano 5000 x 4.
- blog di Unprepared Andrea
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