Rassegnato ad essere italiano
Oramai ci siamo abituati. Siamo abituati ad essere italiani. Spesso mi sembra che davanti a ipocrisia e voltafaccia non facciamo altro che alzar le spalle e dire “si sa, le cose vanno così e non ci possiamo fare niente”, dopodiché dimentichiamo e guardiamo avanti ripetendo la stessa frase.
Vediamo Berlusconi che fa quello che vuole, cambia leggi, fa festini con minorenne e prostitute, rende l’Italia ridicola all’estero, e pensiamo che così funziona la politica. Magari finiamo con l’ammirare tali comportamenti. Sicuramente la maggioranza li accetta altrimenti non avrebbe in mano il parlamento.
Sono italiano e perciò rassegnato. Mi guardo intorno e ne trovo molti come me. Chiedo in giro e sembra che nessuno abbia votato Berlusconi. Tutti si lamentano di lui, eppure più del 50% votò per lui. Mi sembra ci si vergogni del proprio pensiero e che si abbia paura di ammettere di aver preso un abbaglio.
A volte scendiamo in piazza, e poi torniamo a casa forse sollevati per aver manifestato il nostro dissenso e andiamo a letto tranquilli, ma rassegnati perché ci convinciamo che “le cose non cambiano”. E senza dare continuità alla protesta, le cose non cambiano veramente. Ah, quanti bei scioperi alle scuole superiori con il solo motivo di saltar il compito in classe e di passare la giornata con la brunetta che mi sorrideva nei corridoi. Crescendo mi sono adattato a pensarla come un adulto, “non serve a molto manifestare, le cose non cambiano”.
C’è chi continua a combattere contro le cose che non vanno. Li ammiro per la loro tenacia, ma tempo che poi mi troverei a rassegnarmi ad altri comportamenti, perché “una volta che si arriva in alto, inevitabilmente bisogna sporcarsi le mani”. Non credo a questo modo di pensare all’ineluttabilità della corruzione politica, o meglio mi piace non crederci.
In questi giorni nei confronti della Libia stiamo facendo una delle cose che ci riesce meglio, cambiare bandiera seguendo il vento che tira, d’altra parte nelle grandi guerre lo abbiamo già fatto con efficacia. Da anni condanniamo il comportamento di Gheddafi con una delle nostre facce e con un’altra gli sorridiamo. Crediamo che così vanno le cose e che gli interessi economici prevalgono su quelli umani. Non siamo d’accordo, ma lo accettiamo lo stesso. Perché? Ironizziamo sul fatto che prima lo appoggiamo e ora lo bombardiamo. Ridiamo dell’incoerenza della nostra politica internazionale. Diamo la colpa ai politici e ai governanti di turno perché siamo convinti che “noi non possiamo farci nulla” e che “così funziona la politica”. Penso che siamo bravi a dare la colpa agli altri, ma io non riesco a dormire tranquillo con questa scusante. Quando l’Italia agisce, allora agisco anch’io tramite i suoi rappresentati. E mi sento ridicolo.
Io sono fermamente convinto che ogni intervento armato sia un fallimento. Quando un Tornado si alza dal nostro suolo, mi sento tradito. In altre guerre si parlava di “pre-emptive strike”, un attacco militare per anticipare le mosse altrui e pericoli ben peggiori. Non mi sembra ci sia molto convincimento nell’applicare politiche internazionali per prevenire le guerre. Si dirà che non si poteva prevedere uno scenario così drammatico in Libia. Forse perché pensavamo che il dittatore potesse stroncare sul nascere qualsiasi movimento di libertà? Se così fosse non credo sia proprio una bella speranza.
Sembra che ci si accorga che bisogna intervenire solo quando “l’intervento armato resta l’unica soluzione plausibile”. Non si potevano evitare gli attacchi di Gheddafi sulla propria gente e i nostri bombardamenti evitando di vendere armi e costruire strutture per il rais e non piegarsi a novanta gradi durante le sue visite? Ridevamo quando si accampò a casa nostra a Roma e dicevamo che ci stavamo rendendo ridicoli calando le braghe. Poi ridevamo di noi e dicevamo che ci sono interessi economici e che il mondo va così. Pensavamo fosse sbagliato, ma andava bene lo stesso, con rassegnazione.
Non so se capita anche a voi questo conflitto personale interno. Mi piacerebbe essere arrabbiato, ma non ce la faccio. Anche se da tempo all’estero resto italiano nel DNA e nulla potrà cambiarlo. E’ il 150esimo anniversario della mia terra. Dovrei festeggiare? Dovrei essere fiero di essere italiano. Da un po’ di tempo non lo sono più. Buon compleanno Italia, sono figlio tuo e cresciuto come mi volevi, e a volte non vorrei esserlo. Chissà come sarebbe essere, che ne so, sloveno o del Liechtenstein?
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