13.05 Una nave cargo sul lago Tanganica
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Ci volle qualche giorno per riprendere il nostro cammino.
Al porto di Mpulungu trovammo il capitano Robert ai comandi del Teza, nave cargo che avrebbe risalito il lago non appena riempito il carico. C’era un piccolo dettaglio che ci sorprese. La Teza non sarebbe andata a Kigoma, Tanzania, ma il suo tragitto prevedeva un viaggio di 48 ore fino a Bujumbura capitale del Burundi.
“E ora che facciamo?” dissi guardando Franta preso alla sprovvista.
“Beh, mi sembra che l’alternative siano, rimanere qui un’altra settimana o proseguire via terra dimenticando l’attraversamento del lago.” La soluzione stava nel modo in cui Franta espresse le due possibilità. Saremmo andati in Burundi.
Il giorno della partenza ci presentammo al porto in mattinata come ci aveva richiesto Capitan Robert. Solo che lui non c’era. Andammo in centro e ci venne incontro trascinando una bicicletta con in mano la catena spezzata.
“Scusate ragazzi se non ero al porto.” Disse agitando sconsolato la catena. “comunque oggi si parte. Siete pronti tra due ore?”
“Certo, siamo pronti adesso” indicai i nostri bagagli sulle nostre spalle.
“Bene, a dopo. Ora vado a riparare la bicicletta.” E se ne andò. Non c’era fretta in Zambia.
Andammo al porto a sbrigare le faccende burocratiche della partenza all’ufficio immigrazione. I nostri zaini furono ispezionati accuratamente e ci fecero tirar fuori le nostre medicine e spiegare la loro funzione curativa. Sospettavano droga, perciò non avemmo nessun problema. Raggiungemmo il Teza e salimmo a bordo aspettando che le ultime procedure venissero sbrigate.
Il porto poteva ospitare al massimo quattro o cinque cargo di venticinque-trenta metri. Le imbarcazioni da pesca erano per lo più battelli in legno ed erano attraccati davanti al mercato. L’unico porto dello Zambia non stupiva di certo per le sue dimensioni. D’altra parte era il porto di un lago africano e i commerci in quella zona non brillavano tra i quattro Paesi confinanti, Zambia, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo e Burundi.
Salpammo poco dopo pranzo. C’erano diversi passeggeri nonostante fosse un cargo senza camere. Non eravamo gli unici bianchi. All’ultimo momento erano arrivati un tedesco e una coppia di canadesi.
Ci sono poche cose che si possono fare su una nave cargo che attraversa il lago Tanganica: chiacchierare, leggere, dormire o guardare ipnotizzati l’acqua. Ci allontanammo lentamente dal porto incrociando alcuni battelli da pesca che rientravano a terra sospinti dal vento che gonfiava le vele bianche. Durante la navigazione le due coste del lungo, ma stretto lago, quella della Tanzania e del Congo erano ben visibili. Anche di notte si vedevano delle luci dalla costa. Non eravamo soli da quelle parti. Le acque del lago erano calme e il viaggio fu piatto. Solo raramente il vento sollevava delle piccole onde.
Il lago Tanganica è uno dei più profondi al mondo e il secondo più vecchio dopo al Bajkal. I pesci sono evoluti in modo indipendente da altri mari e ci sono specie esistenti solo in questo lago. Si dice che nelle profondità più buie non ci siano correnti marine e l’acqua rimane per così dire “stagnante” sul fondo. Chissà che pesci ci sono da quelle parti. Forse anche questo lago aveva il suo mostro come Loc Ness in Scozia.
La nostra camera da letto aveva per tetto il cielo stellato. Aprimmo i nostri sacco a pelo e ci sdraiammo su uno dei conteiner a prua. L’altro fu preso dalla coppia canadese. Eravamo investiti dal vento provocato dall’andatura del Teza e creammo con i nostri zaini una sorta di barriera che ci fece dormire tranquilli.
Là, sopra al container al cielo aperto nell’emisfero sud, le stelle erano diverse da quelle di casa. Non che io sapessi riconoscere le costellazioni, ma l’idea che la notte che vedevo fosse diversa da quella che mi aveva accompagnato per oltre trent’anni mi fece pensare con nostalgia a chi e a cosa avevo lasciato intraprendendo questo viaggio. La nostalgia durò poco.
Ancora una volta in questo mio viaggio che durava già da 8 mesi mi sentii più libero che mai. Ero in pace con me stesso e felice. Ero felice di essere dov’ero e di aver fatto ciò che avevo fatto fino a quel momento. Non avevo nessuno rimpianto per la scelta fatta, anzi ero ancora più convinto che avevo intrapreso la cosa più bella della mia vita. Mi sentii fortunato con il cuore pieno di gioia. Avrei voluto che tutti i miei migliori amici fossero lì con me. Avrei voluto condividere quel momento non solo con Franta, ma con tutte le persone che significavano molto per me. In quel momento li immaginai di fianco a me, e ognuno mi diceva sottovoce le proprie emozioni. Li vedevo nella mia mente e li sentivo col mio cuore, con la loro voce, la loro espressione e le loro idee che ben conoscevo. Non c’era posto per tutti sul container e alcuni dovevano sedere a prua, con le gambe a penzoloni che sfioravano l’acqua. Era uno di quei momenti che non si vorrebbe finissero mai.
Vidi tre stelle cadenti e un paio di satelliti camuffati da stelle, ma non mi lasciai ingannare da loro. Espressi i miei desideri. Avrei saputo nei prossimi mesi se i sarebbero avverati.
Cominciai a contare le stelle, ma non c’erano sufficienti zeri per contarle tutte. Penso che mi addormentai a centocinquantasette dove c’erano tre stelle della stessa luminosità una di fila all’altra e altre due se ne stavano poco lontani sulla destra. Sembrava volessero andare in giro per la volta celeste per conto proprio come delle stelle viaggiatrici.
I due giorni passarono veloci e alla sera del secondo arrivammo nei pressi di Bujumbura. Attraccammo al largo circondati dalle luce della città e di altre imbarcazioni perché il porto era chiuso.
Mi godetti ancora una notte nella nostra suite imperiale sul container di prua senza essere disturbato da nessuna zanzara come temevo ingiustamente. Le luci della costa infastidivano un po’ la notte e c’era un numero di stelle minori a farmi compagnia. Ciononostante fu un’altra notte indimenticabile.
Era la seconda notte sul lago Tanganica, un’esperienza incredibile. Il giorno dopo saremmo sbarcati in Burundi avvicinandoci sempre di più all’equatore e al centro dell’Africa. Pensai che ero uno degli uomini più fortunati al mondo.
- blog di Unprepared Andrea
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