L'ufficio informazioni di Delhi
- Kategorie:
L’autobus impiegò circa 16 ore per coprire il tragitto da Amritsar e Delhi attraverso la nebbia. Era un autobus notturno per turisti, almeno così ci fu detto. Avevamo un posto letto, un letto doppio e il finestrino era in plastica che vibrava ad ogni sorpasso a causa dello spostamento d’aria e che lasciava passare spifferi gelidi.
Ci infilammo dentro i sacchi a pelo e cercammo di coprire con ciò che avevamo tutte le fessure. Il Golden Temple a piedi scalzi non mi aveva procurato il raffreddore. In questo viaggio il raffreddore era garantito, lo presagivo.
Arrivammo a Delhi al mattino, davanti al Red Fort. Fui lieto di scendere e vedere la luce, ma tristemente constatai che al nord dell’India in gennaio fa freddo.
Avevo già visitato Delhi anni addietro e non mi aveva impressionato per la sua bellezza, anzi me la ricordavo caotica, fastidiosa e triste. Ciononostante era una tappa d’obbligo e Franta non l’aveva visitata. Ero di turno come guida.
Andammo subito al mattino al Red Fort. Purtroppo. Il Red Fort è una fortezza molta bella vista da fuori, quanto noiosa all’interno. Lo sapevo, ma speravo che ora l’avrei vista con occhi positivi. No, era ancora brutta come prima. Portai Franta alla moschea più grande in India attraverso il mercato nella zona mussulmana. La moschea è bella, però venendo da due Paesi islamici con moschee più belle di questa, quando ci chiesero soldi per entrare dissi grazie e arrivederci. Notammo quasi subito che in Pakistan le cose costavano meno che in India.
“Hello! Risciò?” Benvenuto in India Andrea. Essere continuamente assillati da venditori e tassisti era una delle cose che odiavo di più. Ed eccola lì. Nuovamente. Stavolta però mi infastidivano di meno, al contrario di Franta che a volte faceva sforzi enormi per non uscire dai gangheri e assalire alla gola il malcapitato venditore di turno che aveva la sfortuna di venire dopo gli altri che facevano montare il livello di sopportazione. Forse ero all’inizio del viaggio in India o forse avevo uno spirito diverso questa volta. Avrei visto alla lunga se sarei esploso.
Le strade di Delhi erano come me le ricordavo. Sporche con detriti ovunque ai lati delle strade dove la gente getta di tutto non essendoci cestini per l’immondizia. Caotiche con risciò, taxi, auto e autobus che fanno a gara a chi suona il clacson più spesso e a chi guida in maniera più aggressiva. La giornata uggiosa rendeva la città ancora più grigia di quanto lo fosse. Il freddo non aiutava a rallegrarci e ci faceva desiderare di spostarci a sud al più presto. La maggior parte delle case mi apparivano grigie, decadute, con bisogno di tanta pulizia e ristrutturazione. Inoltre non ero riuscito a coordinarmi con Elena, un’amica che non vedevo da anni e che era al momento in India con suo marito indiano. Cercammo di metterci d’accordo su dove e quando vederci, ma non fu possibile. Fui deluso di questo mancato appuntamento, ma la colpa la potevo dare solo a me al mio ritardo e mancata pianificazione. D’altra parte era così che viaggiavo, improvvisando in libertà.
Per strada non ricevemmo la stessa calda accoglienza dei pakistani che non vedevano turisti da un anno e che perciò ci vedevano con ammirazione e interesse. A Delhi eravamo turisti come tanti altri. Eravamo mucche da mungere, nel senso di tirarci fuori soldi dal nostro portafoglio. Il fatto di essere bianco fa pensare automaticamente che ero una persona ricca con soldi da spendere. Purtroppo per tutti i venditori ero un semplice viaggiatore con uno zaino come casa senza spazio per souvenir.
C’era un misto di giovani vestiti all’occidentale come in Pakistan, altre persone di casta più bassa con vestiti vecchi e sporchi che facevano i lavori più manuali per poche rupie al giorno senza diritti o protezione sul lavoro, e donne avvolte nei loro sempre colorati sari. Ogni tanto incrociavo altri stranieri, turisti o viaggiatori. Di solito si distinguono perché i secondi si salutano tra loro riconoscendosi, mentre i primi guardano con allarme chi sta viaggiando da mesi e con un altro spirito, quasi provenissimo da un altro universo.
Ci dirigemmo verso Main Bazar Road, dove mi ricordavo c’erano molte possibilità di alloggio a poco prezzo e dove il nostro amico Michal ci aveva suggerito di andare. Seguimmo le indicazioni che Michal aveva schizzato su un foglio di carta e trovammo subito un alloggio per noi. Main Bazar Road era come me la ricordavo. Locali e turisti si confondevano tra gli innumerevoli negozi e guest house che avevano bisogno di manutenzione. I negozianti mettevano in mostra la merce praticamente chiudendo la strada e a volte qualche risciò tentava di attraversare la strada proseguendo a passo d’uomo. Le stradine laterali erano anch’esse occupate in affari più o meno legali. Circa a metà della via c’era una piazzetta con le solite mucche che aspettano cibo e che verso sera si muovono per una passeggiata incornando qua e là qualche passante distratto. Dalla piazzetta si diramava una stradina verso sud dove c’era un mercatino della frutta e verdura. Ad uno degli estremi di Main Road c’era la stazione dei treni.
Andammo a mangiare e io continuai i miei esperimenti con i cibi indiani anche se per il momento alternavo pietanze europee a cibi locali semplici che conoscevo e sempre in ristoranti. Mi dicevo che avevo tempo per poter assaggiare il cibo per strada, se mai il mio intero apparato dirigente si fosse sentito pronto.
Alla sera in Main Bazar Road seduti in un ristorante sentii un messaggio trasmesso da un intermittente altoparlante. Pensai annunciasse una festa, un comizio, una processione, invece mi fu detto in un inglese stentato dal cameriere che la voce avvertiva le persone di prestare attenzione ad ogni oggetto sospetto o bagaglio isolata perché poteva essere una bomba. Mi dissero che era un messaggio standard che veniva ripetuto tutte le sere dopo l’attacco terroristico a Bombay. La guerra al terrore aveva infestato pure Main Bazar Road.
Il giorno dopo dovevamo prenotare il treno per Agra e poi per Jaipur. Andammo alla stazione dei treni, ma l’ufficio per la riservazione del posto era chiuso. Fummo assaliti da un paio di indiani che volevano aiutarci e ci tempestarono di informazioni. In un modo convincente ci dissero che la nostra unica possibilità di acquistare il biglietto era di andare all’unico vero ufficio informazioni a Counnaght Place, la zona ricca di Delhi. Decidemmo di andare a vedere questa piazza e la messinscena fu così convincente che la persona che cercava di aiutarci ci mostrò un documento che asseriva era una guida ufficiale e negoziò un prezzo conveniente per il viaggio in risciò. Eravamo esortati a sbrigarci altrimenti l’ufficio chiudeva e non c’erano molti posti. Appena saliti in risciò guardai Franta e ebbi un attimo di lucidi dopo la confusione che s’era creata nelle nostre menti. Era tutto fasullo. Come al solito era una recita per venderci un viaggio. Franta non era convinto, ma poco dopo quando nell’ufficio informazioni ci proposero un pacchetto di dieci giorni di viaggio in Rajasthan, dovette ricredersi. Uscimmo ridendo di noi e facendo i complimenti agli attori. Era tutto quasi perfetto. C’erano molti “uffici informazioni turistica” nella zona e vedevamo entrare molti stranieri. Era uno show perfetto. Questa era una delle cose che mi aveva fatto detestare l’India e me la ritrovavo di fronte dopo due giorni di viaggio.
Visitammo il tempio di Birla Mandir godendo della pace di quel luogo di culto per un paio di ore. Cercammo un autobus per andare a Counnaght Place. Avevo il computer con me e speravamo di andare al McDonald per poter usare la connessione wifi. Nonostante volevamo a tutti i costi prendere l’autobus, tutte le persone che incontravamo ridevano e dicevano che o si andava a piedi o si prendeva un risciò, non c’erano autobus per la piazza. Camminammo al buio e una volta nella piazza cercammo un bar, caffè o ristorante con una connessione wifi. Nella terra che sforna ingeneri informatici come caffè in un bar di piazza alla domenica mattina non c’erano connessioni wifi. Tornammo alla guest house dopo essere entrati ed usciti senza bere nulla da uno dei bar della piazza dove un caffè costava quanto metà della nostra stanza per una notte, due dollari e mezzo.
Tornavo sempre allo stesso ristorantino ad azzardare qualche cibo indiano che il mio stomaco cominciava ad apprezzare. Piano piano, mi diceva. Il raffreddore non mi aveva ancora colpito dopo il freddo di Amritsar e il viaggio notturno con il finestrino praticamente aperto. Incrociai le dita che tutto proseguisse cosi'. Pian piano, ancora, mi stavo abituando all'India e mi appariva piu' piacevole di quanto fosse stato il primo viaggio.
Ora era il momento di muoversi verso sud cercando un po' di caldo. Prossima meta: Agra e il Rajasthan.
- blog di Unprepared Andrea
- 1923 letture
Commenti
oh... sempre la solita
oh... sempre la solita fighetta del cazzo... cosa vuoi che sia un notte a piedi nudi nella nebbia padana...
considera inoltre che come parallelo mi pare che fossi molto più in basso della sicilia... per cui...
ma che è? il cuscinetto?
Ma vogliamo parlare del cuscinetto di Andrea della prima foto? Come allo stadio con il cuscinetto?
Che spettacolo.
Buon Himalaya.
Ci sentiamo a fine mese.
Mattia
PS: I miei soliti saluti a Franta, il suo nome mi fa simpatia