Hindustan zindabad! Pakistan zindabad!

Avevamo solo cento rupie, quelle pakistane, e dovevamo andare in India. Non molte, ma ce le dovevamo far bastare. Sarebbe stato comodo prendere un taxi, ma se ci sono i mezzi pubblici, perché non prenderli e risparmiare?

Due giorni prima avevamo speso inutilmente delle rupie. Volevamo andare a visitare il forte, e siccome Franta stava male non ce la sentivamo di camminare attraverso la città vecchia. Prendemmo un risciò e contrattai duramente il prezzo per arrivare al “the Fort”. Tutti ci chiedevano un prezzo assurdo e quando dicevamo 80 rupie, prendevano e andavano via. Ma com’era possibile? Il forte non era così lontano. Finalmente uno disperato ci prese con sé. Il risciò andava. Andava. Andava. Andava. Capimmo che non era la giusta direzione e chiedemmo ripetutamente:
“Fort?”
“Yes, yes, Fort”.
A metà strada capimmo. Stavamo andando a “the Fortess”, la Fortezza, il vecchio stadio di cricket e ora centro commerciale con una fiera piena di attrazioni. Beh, che fare? Andammo a vedere cos’era sta roba. Arrivati non ci restò altro da fare che ridere della nostra stupidità voluta in quanto potevamo tornare indietro molto prima, e ci rendemmo conto di quanto poco avevamo pagato per tutti quei chilometri! Ovviamente non val la pena menzionare quel che vedemmo lì.

Il giorno della partenza studiammo il tragitto fino all’ultima rupia e arrivammo al confine cambiando tre mezzi, risciò, autobus e minibus, con abbastanza rupie da comprarci dei chapati subito prima della dogana.

La cerimonia di chiusura dell’unico confine aperto tra Pakistan e India è un’esperienza unica. A vedersi non si direbbe che questi due Paesi hanno fatto un paio di guerre e stanno ancora litigando per le terre montuose del Kashmir, anzi, si odiano ancora! M’è sembrata una manifestazione di ipocrisia.

Volevamo vedere la cerimonia dal Pakistan. I pakistani ci stavano simpatici. Ci piacevano. Lahore lasciò un segno positivo nonostante i problemi di salute che dovemmo sopportare gli ultimi giorni. A parte Quetta, tutta l’attraversata con i suoi luoghi e la simpatia delle persone fu un’esperienza piacevole. Come per la Turchia e l’Iran pensai:
“Ci devo tornare in questi luoghi. Ho bisogno di più tempo!” Forse mi servono una decina di vite… magari la prossima reincarnazione.

Siccome la cerimonia sancisce la chiusura giornaliera del confine, non potemmo assistere dalla parte pakistana, altrimenti non saremmo più passati in India per quel giorno. Attraversammo il confine con i nostri chapati pakistani ed entrammo nella più grande democrazia del mondo… che apparentemente funziona. La prima cosa che notammo di diverso in India fu la marea di turisti. Gente di colore bianco pallido come il nostro che vagava con la macchina fotografica a frotte. Mi rattristai un po’. Avevamo perso il nostro status di persone “diverse e speciali” che ci accompagnava dalla Turchia orientale.

Durante la cerimonia le guardie di una e dell’altra parte fecero a gara di esibizionismo, marciando in modo altamente marziale con passo dell’oca, battendo gli stivali bianchi sull’asfalto dura tanto forte da far temere che le caviglie schizzassero via sugli spettatori. Gli specialisti canori si esibirono in lunghi assoli di interminabili “Ooooooooooooooooooooooooooooooooooh” emessi attraverso un microfono simultaneamente alla controparte oltre confine. Questi vennero esaltati da grida e applausi dagli spettatori qualora fossero più lunghi. C’erano parecchi spettatori indiani sugli spalti, e ben pochi e nessun turista dalla parte pakistana. Pur essendo in India, simpatizzavamo per il Pakistan con un po’ di nostalgia per quella terra piena di problemi e piena di brava gente. Un presentatore incitava il pubblico a urlare più forte degli altri: “Hindustan zindabad!” “Pakistan zindabad!” Hindu e Urdu, le due lingue sono praticamente uguali, ma guai a dirlo. A seconda con cui si parlava ci veniva detto che l’una era la derivazione dell’altra. Antagonismo sfrenato.

In realtà la cerimonia non ci impressionò più di tanto, ma era nella nostra lista e potei metterci un bel “Fatto” vicino.

Prendemmo l’autobus. Perché prendere il taxi e pagare dieci volte tanto quando si può stare scomodi sommersi dalle valigie, ma in mezzo ai locali? Questo era il nostro modo di viaggiare e questo fu quello che facemmo.

L’autobus ci portò ad Amritsar, direttamente al Golden Temple, il tempio più importante per la religione Sikh. Bibbia alla mano non cercammo un alloggio in città, si poteva dormire gratuitamente dentro il tempio. Cercammo e trovammo chiedendo in giro il nostro dormitorio. Una camerata da dieci persone, vuota perché fuori stagione o perché siamo sfigati. Il nostro bagaglio invece lo lasciammo nella camera con lucchetto di Michal, un tedesco particolare che viveva in Nepal e che era di passaggio in India, ma purtroppo bloccato a causa di un’ustione al piede. Anziché versare il latte bollente sul suo chaj, aveva pensato bene di innaffiarsi il piede.

Per la sera c’eravamo riservati la visita al Golden Temple. Ero ansioso di vederlo. Mi immaginavo una meravigliosa atmosfera di devozione e uno splendore artistico unico. Non avevo fatto i conti con la nebbia padana che m’ero portato dietro.

Commenti

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ormai ti stai abituando a

ormai ti stai abituando a stare dalla parte dei perdenti... è risaputo che gli indiani di confine sono molto più forti dei pakistani nella specialità della chiusura del confine variante free style acrobatica.
gli hai spiegato che l'hindu e l'urdu derivano dal gussu? avrebbero capito tutto, chiuso il confine e buttato le chiavi.
p.s. : se trovi una camerata da 10 vuota, forse potresti provare a lavarti... che figura ci fai fare Andre! eddai!

mitico Giuliano!!! stavolta

mitico Giuliano!!!
stavolta mi accodo al suo solito carico di insulti, soprattutto perchè mi ha fatto ritornare alla memoria il mitico botta e risposta:

"Ma tu che mestiere fai?"
"Barman acrobatico free style"

Che dire, per quest'anno sto

Che dire, per quest'anno sto con i perdenti. Spero a settembre di poter cambiar strada.

Vi voglio bene lo stesso, bastardi.

Il gussu, lingua di origine sarda, si diffuse in India secoli e secoli fa. La lingua si caratterizza dall'assenza di congiuntivi e di doppie. Oramai e' una lingua morta, caduta in disuso e parlata solo da tribu nascoste nella giungla tamil che ogni mattina vanno a porre omaggi ad una divinita' dalla pelle bianca e senza capelli che professa l'astinenza sessuale ricordando il suo lungo viaggio alla ricerca della verita' mai svelata.

Di che mitico botta e risposta stai parlando? Sai che sono fuori dal giro cazzate italiane.