16.01 Kampala, attraverso il lago Vittoria

Per una qualche ragione che non so ancora spiegarmi Mwanza mi piacque. Forse la città in riva al lago, forse la doppia a dieci dollari col bagno, forse il pesce con la polenta o la carne alla griglia, o forse l’Africa mi stava entrando sotto la pelle.

In ogni caso era giunto il momento di muoverci, di continuare il viaggio oltre il lago, in Uganda.

Ovviamente andammo al porto in cerca di un’imbarcazione che ci prendesse a bordo. Ovviamente non c’era nulla di disponibile. Ovviamente cercando e chiedendo trovammo l’MV INDI del capitano Richard. II cargo era una piccola imbarcazione e stava aspettando il carico che doveva arrivare in giornata.

“Chiamatemi dopo pranzo e vi dirò a che ora partiremo.” Per tre volte lo chiamammo. Il carico arrivò con due giorni di ritardo, ma arrivò. Andammo al porto e passammo all’immigrazione dove una simpatica signora ci chiese l’equivalente di otto dollari altrimenti non avrebbe messo il timbro. Poco da fare, scuserete e condividerete l’incazzatura, quella troia ci teneva per le palle. Pagammo e ottenemmo di poter uscire dalla Tanzania via cargo.

Il problema si presentò mentre aspettavamo all’ombra di un grosso albero per proteggerci dalla calura e dal sole calante osservando i falchi che volteggiavano sopra il porto in cerca di cibo. Captain Richard venne da noi e sconsolato con le braccia aperte ci disse:

“Mi dispiace. Non possiamo uscire oggi. Il porto è chiuso. Partiamo domani.”
“Cazzo, e ora? Abbiamo il passaporto timbrato. Non possiamo tornare in città. Dove dormiamo?”
“Potete dormire sotto coperta. In quello sgabuzzino.”

No grazie. Con Franta decidemmo di tornare in città e passare la notte da illegali. Nel nostro albergo ci conoscevano e non ci avrebbero chiesto il passaporto e controllato il visto. La polizia non ci avrebbe controllato, ne eravamo sicuri. O forse non...

Tutto andò bene e il giorno seguente potemmo imbarcarci e partire per Port Bell, il porto di Kampala.
Stavolta eravamo gli unici passeggeri. Il cargo era piccolo, una ventina di metri e non avrebbe potuto ospitare più gente oltre a noi e all’equipaggio. Al solito la nostra stanza era sopra i portelloni del carico col tetto di stelle. Purtroppo quella notte a tenerci compagnia c’erano dei fastidiosi moscerini che tenemmo a bada costruendo una quasi impalcatura per la nostra zanzariera da viaggio.

Ci impiegammo un giorno per attraversare il lago. Le ore passavano lente sotto il sole cocente. L’equipaggio era composto da giovani marinai per lo più ugandesi che parlavano un ottimo inglese che ci tennero compagnia durante le noiose ore di viaggio. Al mattino superammo l’equatore. Ero tornato nell’emisfero settentrionale. Nulla era cambiato, ovviamente.

Giungemmo verso sera in Uganda. Attraccammo e i ragazzi dell’MV INDI ci aiutarono a prendere un minibus a prezzo locale fino a Kampala. Avevamo trovato un albergo poco costoso tramite la guida e scendemmo all’inizio del viale dove stava l’albergo. Il viale era lungo e cominciammo a camminare nella direzione che presumevo fosse corretta. Spesso mi lascio guidare dall’istinto e spesso un po’ di culo ce l’ho.

Il centro di Kampala dava l’impressione di essere moderno confrontato con il resto dell’Africa che avevo visto. C’erano fast food e negozio alla moda. Proseguimmo verso il quartiere popolare.

La direzione era quella giusta, solo l’albergo non si trovava. Era buio e la strada era affollatissima. C’erano venditori con le loro bancarelle o con la merce esposta semplicemente su dei cartoni. Alcuni mendicanti chiedevano soldi poco convinti. Alcuni di loro spazzavano per strada con il solo risultato di alzare un enorme polverone che ricadeva per terra dopo pochi minuti. E soprattutto la gente camminava veloce e occupava ogni spazio tra minibus e motociclette. La strada era sporchissima, piena di rifiuti dai negozi e dopo che per l’intera giornata la gente non fa altro che buttare per terra ciò che non serve più. Un paio di cestini aiuterebbero in Africa, ma come spiegarglielo? Chissà quanti decenni dovranno passare prima della raccolta differenziata.

Preso dallo sconforto ricorsi all’ultima risorsa per un viaggiatore maschio: chiedere informazioni ai passanti e così ammettere la propria impotenza. Senza pensarci troppo chiesi alla prima persona per la strada, una signora alla mia destra. Sulle prime fu sorridente quando mi rivolsi a lei, poi l’espressione divenne confusa e alla fine mi indicò di proseguire dritto, ma che se volevo potevo anche fermarmi nell’albergo a pochi metri. Mentre mi parlava l’osservai. Era una bella donna, con un trucco pesante e con un vestito rosso scollato. Aveva le scarpe col tacco alto rosse pure quelle, che non sembravano andare d’accordo con l’ambiente che ci circondava.

“Franta, ho appena chiesto aiuto ad una prostituta?” Sì.

Mi ci volle un po’ per capire chi avevo fermato per strada e che lei sperava fossi un suo cliente, musungu e perciò con i soldi. La dovetti deludere, ma mi diede le informazioni in ogni caso con un sorriso. Ovviamente mi invitò a passare di lì nuovamente.

Dopo una lunga camminata al buio sotto il peso dei nostri zaini raggiungemmo l’albergo stanchi. Alla reception c’era un etiope che si dimostrò cordiale e socievole offrendomi una sigaretta. Mentre chiacchieravamo, dal bar dell’albergo uscì una donna in rosso. Diedi un’occhiata dentro al bar. L’albergo era una mezza casa d’appuntamenti con i clienti, la maggior parte uomini d’affari sudanesi, che ogni tanto sparivano nelle loro stanze accompagnati da una donna. Però costava poco, e sarebbe stato solo per una notte. “E chi se ne frega? Sono cavoli loro, tanto domani andiamo via. Andiamo a Jinjia, dove il Nilo comincia il suo viaggio. Non abbiamo nulla da fare qui a Kampala."

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Fortuna che eri allergico alla polvere, no?

Cavoli a sentir sto racconto non ci si crede che sei allergico alla polvere, o meglio eri allergico!
Se penso al Gusso a letto che dorme e starnuta per la polvere sul suo lettino a Caorle e adesso è in mezzo a una strada polverosa e và a dormire in un hotel di puttana, devo proprio dire ECcezionale veramente!

ti sei dimenticato che sono

ti sei dimenticato che sono le stesso di "Mister, no, no go voja de xogar."
solo un fisico forte ed eccezzzzzziunale puo' fare questo.