16.05 La guida

“Patrick, pensi che pioverà?”

La mia guida rimase in silenzio guardando fisso davanti a sé la vallata ricoperta dalla foresta pluviale ai piedi del Monte Elgon in Uganda. Con un movimento lento mise una mano nella tasca della giacca della sua divisa militare tenendo sempre stretto il fucile nell’altra con la canna rivolta verso l’alto e il calcio appoggiato ad una roccia. Estrasse un pacchetto di Portsman arancioni. Si aiutò con le labbra per prendere una sigaretta. Laborosiamente riuscì a portarne una alla bocca. Mise il pacchetto nella tasca con la stessa velocità con cui l’aveva tirato fuori. Dalla stessa tasca uscì un accendino. Con una scintilla si accese la sigaretta. Fece un solo lungo tiro e disse rivolto alla vallata:
“Non mi chiamo Patrick.”

Silenzio.

Certo che si chiamava Patrick. O forse no? Accidenti non mi ricordo mai i nomi delle persone. Speravo di non averlo fatto incazzare. Non è una cosa saggia far arrabbiare la tua guida. In particolare se è un militare e gira con un fucile da 5 chili anche se dovrebbe essere per la nostra protezione.

La valle era verde. Non c’era altra descrizione. Se qualcosa è verde allora dovrebbe essere confrontato con quella valle. L’avevamo appena attraversata con fatica su sentieri stretti che la foresta inghiottiva ad ogni passo. Il tempo era stato clemente fino a quel momento e il sole non era riuscito ad attraversare l’impenetrabile vegetazione, risparmiandomi un’insolazione.

C’eravamo fermati per riposare. Il posto scelto per la pausa era una roccia sopra al colle appena scalato da dove si godeva una splendida vista sulla vallata. Verde.

Mentre io sgranocchiavo dei biscotti e bevevo acqua purificata per riprendere fiato ed energia, la mia guida fumava.

“Non mi chiamo Patrick, pensi che pioverà?”
Pensai che un po’ di spirito lo smuovesse e invece ebbi come risposta un tiro di sigaretta e una nuvola di fumo. Ma che gli avevo fatto? Avremmo dovuto passare tre giorni insieme in mezzo ai monti lontano da tutti e da tutto. Non era un buon inizio, ma ero io a dipendere da lui, non lui da me. Lo fissai. Imperturbabile continuò a guardare dritto davanti a sé tenendo tra le lunghe dita la sigaretta che si consumava pian piano.

La vallata, verde, era già coperta da nuvole che si addensavano pian piano sopra di noi. Mi avevano detto che da quelle parti il tempo cambia rapidamente, ovvio eravamo in montagna, e che c’era da aspettarsi sole alla mattina, nuvole e pioggia di pomeriggio. Era pomeriggio, ed ero preoccupato da quelle nuvole che sembravano organizzarsi per fare qualcosa di spiacevole, forse un dispetto.

Non so che piano avessero in mente quelle giovani nuvole arrivate in gran fretta e che in quel momento sembrava ci osservassero e si addensavano l’una sull’altra credendo di non essere notate. In lontananza si udì un rombo.

“Hey, guarda che sta per piovere. Non andiamo a cercare rifugio?”

Niente. Sembrava non sentirmi, o meglio, sembrava mi avesse sentito, ma che avesse valutato come insignificante le mie parole e la mia presenza. Ottimo, pensai, sono a cielo aperto e tra poco pioverà, e sono in compagnia di un uomo di Neanderthal che non mi vuole intorno. Avrei voluto andare avanti da solo, se avessi saputo la strada. Feci pure il gesto di alzarmi e dire sottovoce, ma udibile, “ora vado a cercare un riparo.” Vista la reazione che suscitai, mi sedetti sconfitto al mio posto.

Le nuvole erano ora convinte di averci preso di sorpresa. Erano nere sopra la vallata, verde. Coprii il mio zaino rosso con il telo impermeabile giallo e indossai la giacca impermeabile blu e i pantaloni da pioggia neri. Le mie scarpe erano già marroni ricoperte di fango.

La guida spense la sigaretta sotto gli stivali e mise il mozzicone dentro ad un sacchetto di plastica. Appena ebbe terminato l’operazione cominciò a piovere.

Ripararsi dove? Non c’era un posto coperto a pagarlo oro. E allora rimasi lì con la guida e allo stesso tempo da solo. Avrei voluto dargli uno schiaffo per avere almeno una reazione. Ero completamente dipendente da lui e lui non mi parlava. E pioveva.

I suoi occhi erano focalizzati ora sulla pioggia. Si muovevano velocemente quasi seguissero il percorso delle gocce che cadevano davanti a noi fino a terra. Dalla sua espressione non ero sicuro se stesse contando le gocce una ad una o se stesse risolvendo l’ultimo teorema di Fermat.
Rimanemmo lì, sotto la pioggia, protetti dai nostri abiti impermeabili e da un fucile. Decisi di guardare anch’io la pioggia cadere e pensare a… niente.

Poco dopo le nuvole si stufarono di giocare con noi, come un gatto stancatosi di giocare con la preda che non combatte più per liberarsi. Smise di piovere e la guida parlò.

“Penso che pioverà, ma poi smetterà subito.”

Allora capii. Non so cosa, ma capii. Era una di quelle sensazioni che ti vengo da qualche parte dentro di te e ti vien da dire “Cazzo! E’ vero. Ma… perché? Vabbè cerco dopo.” Mi sdraiai sulla roccia guardando il cielo. Ero stato sciocco a preoccuparmi e ingiusto nel prendermela, silenziosamente, con la mia guida. Volevo una risposta ad una domanda che si rispondeva da sé, ma alla quale non volevo credere. Sentivo che tutto ora era chiaro, ma non riuscivo a spiegarmi cosa. Sapevo solamente che non ero più arrabbiato ed ero sereno e tranquillo. Avrei cercato una spiegazione più tardi, se me ne sarei ricordato.

“Amico,” dissi mentre mi rialzavo “penso che pioverà, ma poi smetterà subito.”

Lui si voltò a guardarmi per la prima volta dall’inizio del viaggio. Mi sorrise mostrando una dentatura di vario tipo, quasi artistica. Si alzò e disse fissandomi negl’occhi “Amico, hai ragione. Ora possiamo andare.”

Io presi il mio zaino e lui il suo fucile e ci incamminammo sul sentiero fangoso dentro la foresta verde.

Più tardi ripensai all’episodio e cercai di darmi una spiegazione a quello che ci era successo lassù su quella roccia. Ancora non ero sicuro della morale della storia e conclusi che la risposta era da trovarsi tra queste:
1) Ricordarsi il nome delle persone è importante, soprattutto se saranno quelle che ti accompagneranno per tre giorni in mezzo ai boschi.
2) Le guide si incazzano facilmente se non ci si ricorda il loro nome.
3) Se proprio devi usare uno zaino rosso con la copertura gialla, le scarpe marroni, la giacca blu e i pantaloni neri, fallo in mezzo alla foresta dove non ti vede nessuno.
4) Guardare la pioggia o cercare di risolvere l’ultimo teorema di Fermat ha lo stesso effetto.
5) E’ inutile preoccuparsi per l’inevitabile, in quanto accadrà in ogni caso. Meglio godere il momento, affrontare con dignità senza scappare le proprie paure e i problemi che incombono su di noi, e poi ripartire.
6) Una guida è un amico che ti aiuta a capire te stesso, e che ti può offrire una sigaretta.
7) Può piovere e ci si può bagnare, ma si può continuare ad andare.

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