23.01 Miss Saigon, o Ho Chi Minh
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Sono cresciuto conoscendo il Vietnam di Full Metal Jacket, Platoon, Hamburger Hill, Apocalipse Now, Good Morning Vietnam e tanti altri film su quel Paese che ricordavano in un modo o nell’altro la guerra che uccise oltre un milione (U-N M-I-L-I-O-N-E) di vietnamiti del Nord e del Sud, e poco meno di 60.000 americani, non una piccola sproporzione a pensarci bene. Giocavo con i soldatini scala 1:76, gli americani erano i buoni, i Vietcong i cattivi. Vietcong era sinonimo di nemico e i comunisti, si sa, mangiano i bambini, oppure li lessano in Cina come ricordò il primo ministro B. in una delle sue solite gaffe internazionali. Allo stesso modo i ragazzi morivano in Vietnam mandati da chi le guerre le fa seduti dietro ad una scrivania. Per me Vietnam era quindi sinonimo di violenza e disperazione.
Poi venni a sapere che il Vietnam era stato per un migliaio d’anni sotto i cinesi e i francesi li avevano messi sotto nella loro mania di colonizzare il mondo.
Più recentemente Vietnam era diventato il luogo dove i bambini fabbricano le Nike o le Adidas, un Paese povero, una meta turistica. Che aspettarsi allora? Al solito nulla e lasciarsi stupire.
Appena arrivato a Saigon ero già confuso sul perché si chiamassi al tempo stesso Ho Chi Minh City. Forse quelli del Sud non erano poi così contenti di essere “liberati” dai compagni rossi. Fatto sta che parlando con la gente non c’è nessun problema a chiamare la città con uno dei due nomi alternativamente.
Ero da solo e mi attaccai da buon backpacker impreparato ad una coppia appena sposata, lui australiano, lei americani, per dividere i costi del taxi per il centro. Di autobus a 12 centesimi di euro non ne giravano più a quell’ora perciò ripresi quello che avevo lasciato in sospeso un mese prima: la negoziazione del prezzo, che è una parte integrante del viaggiare nella maggior parte del mondo.
Raggiunto l’accordo sul prezzo arrivai in centro dove c’erano più alberghi e guest house per metro quadrato che bollicine in una cocacola. Fu facile trovare una camera dignitosa, anzi pure troppo per me.
Dopo una rapida doccia usci nella sera umida di Saigon. Ero nel quartiere turistico e pieno di backpackers. Non solo c’erano bar e ristoranti con scritte in inglese piene di uomini bianchi, ma pure le donne delle bancarelle che servivano brodo di manzo con spaghetti, o meglio noodle, chiamato pho bo, parlavano un po’ di inglese. Sì, ero nella zona turistica.
Non riuscii a resistere agli sgabelli per strada attorno a qui pentoloni di brodo bollente, anche se l’odore di aglio, cipolla, carne lessa, e spezie strane, tra le quali l’odiato coriandolo (a chi piace il coriandolo? A nessuno e allora perché metterlo nei piatti?) non era il più invitante. Mi sedetti con le ginocchia che quasi mi toccavano il mento e con una scodella fumante in una mano ei bastoncini di legno per mangiare nell’altra.
Provo soddisfazione a sedermi tra la gente locale e fingermi uno di loro, anche se ovviamente mi fecero pagare di più perché… perché non c’è nessuno motivo, sono un bianco e per loro va bene così. A me no, ma che ci puoi fare? Non mi diverte invece andare a mangiare al ristorante. Costa di più e ti danno del cibo locale occidentalizzato, che non è ne’ l’uno ne’ l’altro.
Mentre passeggiavo in fondo alla via, sorprendentemente più pulita di quanto pensassi, tra caffè e bar incrociai un uomo in motocicletta che trasportava una bella ragazza. “Hello!”, mi gridò appena superato. Risposi istintivamente “Hello!”. Dopo un minuto la stessa motocicletta mi accompagnava a passo d’uomo. “Do you want ladies?” Vuoi delle signorine? Notare che usava il plurale nella sua offerta. Parte della sua merce la portava in giro seduta sul sedile posteriore. Bene, ho capito dove sono. Ad ogni passaggio davanti ad un bar c’erano delle bargirl che mi invitavano ad accompagnarle. No grazie. Sono appena arrivato datemi il tempo di capire dove cavolo sono.
E’ così ogni volta che si arriva in un nuovo luogo. Bisogna capire subito come vanno le cose da quelle parti per evitare spiacevoli sorprese, situazioni imbarazzanti o conti salatissimi. A lungo andare è stancante, ma allo stesso tempo è divertente. Ogni volta c’è qualcosa di nuovo, odori, colori, modi di fare, lingue, facce, suoni e quant’altro. Si fanno associazioni con altri Paesi e confronti. Di solito non ci vuole molto per inquadrare la scena dopo un po’ di fregature.
Andai a dormire distrutto e mi svegliai dopo dodici ore filate. Feci colazione, o meglio pranzo, con una ciotola di riso e del pollo in una strana salsa di lemongrass, con un brodo dove galleggiavano dei cetrioli lessati.
Svoltai l’angolo del quartiere turistico dagli stretti vicoli e mi trovai sul marciapiede di un viale dove vidi per la prima volta l’armata dei motorini. Principalmente erano modelli giapponesi Honda e Suzuki, anche se ogni tanto intravedevo una Vespa. Ad ogni semaforo erano circa una cinquantina che passavano anche con il rosso. Era mezzogiorno e man mano che passava il tempo il numero dei mezzi in circolazione aumentava. Alle cinque le strade erano infestate da due ruote con una, due o tre persone più carichi vari. Ogni incrocio era un alveare ronzante. La maggior parte di questi Valentino Rossi indossavano una mascherina, chi monocolore, chi con motivi floreali e colorate, per proteggere bocca e naso dalle polveri. Tutti indossavano il casco aperto.
Le poche auto che circolano erano solitamente nuovi modelli di grossa cilindrata di proprietà dei ricchi. La forbice tra la classe benestante e le maggior parte della popolazione era rilevante e osservabile in una passeggiata per una strada qualsiasi.
Entrai nel museo dei crimini di guerra. Ovviamente per loro i crimini di guerra erano commessi da qualche francese, ma soprattutto dagli americani. Non si parlava dei cinesi, ne’ di quello che i Vietcong e i ribelli avevano fatto. D’altra parte la storia la scrive chi la vince.
Ignoravo l’agente Orange usato dagli americani come defoliante alla diossina. Le foreste hanno perso le foglie in poco tempo, mentre gli effetti della diossina sulla popolazione durano ancor’oggi. Le immagini drammatiche delle malformazioni e delle sciagure della guerra mi toccarono il cuore come non me l’aspettavo. Una lacrima scese sul mio viso. Non ero commosso per quella guerra. Non mi interessava chi era il “cattivo”. E poi, chi definisce in una guerra chi è il “buono” e il “cattivo”? Ero inorridito da cosa l’uomo può fare a sé stesso. Ogni volto che visito uno di questi luoghi della memoria, come ad esempio Auschwitz, Birkenau, Dachau, la risiera di San Sabba, Redipuglia, Bassano del Grappa, non capisco. Non riesco a spiegarmi perché ci facciamo questo.
Col cuore in subbuglio continuai la visita della città. Ero l’unico a procedere a piedi tra quel mondo su due ruote. Rinunciai a rischiare salendo su una motocicletta taxi. Il piccolo taglio sulla fronte era lì pronto a ricordarmi dei boda-boda in Uganda, e a suggerirmi di scegliere un modo più sicuro per spostarmi. Camminare.
Al parco gruppetti di ragazzi e ragazze giocavano con una specie di volano da colpire a calci. C’erano dei veri e propri acrobati in questo “calcio volano”. Altri giocavano a badmington mentre alcune donne facevano aerobica al ritmo di musica da discoteca pompata da delle enormi casse. C’era pure chi correva e molti che facevano “walking”, cioè in tutta e scarpe da ginnastica camminano velocemente avanti e indietro, cosa che a me fa sempre molto ridere.
Mi arresi. Dopo un giorno solamente decisi di lasciare sia Saigon, sia Ho Chi Minh e dirigermi a Nha Trang, sul mare dove c’era Franta ad aspettarmi da un mese.
- blog di Unprepared Andrea
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Commenti
incrociai un uomo in
incrociai un uomo in motocicletta che trasportava una bella ragazza. “Hello!”, mi gridò appena superato. Risposi istintivamente “Hello!”. Dopo un minuto la stessa motocicletta mi accompagnava a passo d’uomo. “Do you want ladies?” Vuoi delle signorine?
Occhio, e' una truffa: ti portano in un hotel e ti fanno pagare un pacco di verdoni senza neanche farti trombare , con la complicita' della polizia.
Giocavo con i soldatini scala
Giocavo con i soldatini scala 1:76, gli americani erano i buoni, i Vietcong i cattivi.
E avevi ragione, basta guardare i sudvietnamiti come li hanno ridotti
Ti do ragione che i vietcong
Ti do ragione che i vietcong erano i cattivi. ma secondo me erano cattivi tutte e due. e ci aggiungerei pure i russi e i cinesi che rifornivano di armi, viveri e tutto il necessari quelli del nord.
Non si parla molto dei vietnamiti del sud. Centinaia di migliai di persone uccise dai vietcong. A volte sembra che la guerra sia stata solo tra americani e vietcong. sbagliato. quelli di saigon non mi sembra aspettassero a braccia aperte quelli del nord. non li avevano invitati a comandarli.
al solito chi è andato di mezzo è stata la povera gente che non gliene fregava nulla di una cosa chiamata comunismo e imposta con la forza, e che si vedevano precipitare bombe sulla testa senza sapere il perchè.