Al settimo cielo con Micheal Schumacher
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Avviso: parte di questa storia non è reale. E' un po' lunga, ma quando entra di scena Michael Schumacher, cambia marcia.
Dovevamo alzarci alle otto e partire subito. Uscimmo dall’Hotel Teddy Bear alle 11 e prendemmo l’autobus per il Monte Emei alle 12 arrivando all’inizio della nostra salita soltanto intorno alle due del pomeriggio.
La notte precedente dovetti dormire sul letto più piccolo nella nostra stanza per due persone a cui avevano aggiunto un lettino. Ce la giocammo a carte, e io pescai quella più bassa… Sfigato. Franta e Andy dormirono su letti grandi e comodi, io dovetti sdraiarmi su quello già occupato da un pupazzo enorme di Teddy Bear… oltre al danno la beffa, mi sorrideva seduto sul letto. Lo accomodai faccia al muro e lo usai come poggia zaino e appendi abito maledicendo tutto quello che ricordava Teddy Bear il porta sfiga, che era poi ovunque posassi gli occhi. Coperte, asciugamani, tende, tazze per il tè. Eravamo tre ragazzi, tre rappresentati del mondo maschio in una camera piena di orsacchiotti.
Per l’escursione di due giorni al Monte Emei prendemmo con noi solo lo zaino piccolo con il minimo indispensabile. Un cambio, tutte le giacche e maglie perché lassù faceva freddo e il sacco a pelo. Tutto il resto sarebbe rimasto in albergo dove saremmo tornati per poi ripartire immediatamente in direzione di Sangri-La.
Partiti in clamoroso ritardo attaccammo la salita del monte in piena nebbia tra tornanti e curve pericolose. Vedevo a malapena le sagome alberate delle montagne mentre leggevo i cartelli che annunciavano che si entrava nella “montagna sacra riconosciuta dalla nazione” o che “vivere in armonia rende la vita migliore” e che dovevamo prestare “attenzione alle scimmie” che gironzolano per il monte a caccia di pastine confezionate, noccioline e qualsiasi altra cosa commestibile purché in possesso dei turisti senza disdegnare una bella aggressione a banana armata.
Il tragitto non fu tranquillo e un improvviso sobbalzo dopo una curva secca mi svegliò di soprassalto lasciandomi confuso mentre cercavo di capire se fossi ancora vivo o se stessi sognando. Appena senti Franta lamentarsi, seppi di essere ancora in viaggio.
Appena scesi dall’autobus, dopo aver pagato lautamente per entrare al parco, 150 yuan e cioè l’equivalente di 5 pasti al ristorante o 4 notti, andammo a mangiare un boccone prima di affrontare a piedi i 600 metri di dislivello fino alla cima dove ci attendeva il Budda d’oro. Al solito Andy giudò il gruppo ordinando anche per noi. Io mi limitavo ad assentire con un “Hmmm, buono!” ad ogni pasto, mentre Franta non si discostava dal suo pollo o riso fritto.
Cominciammo la salita e la nebbia saliva man mano che avanzavamo. Non si vedeva nulla del paesaggio attorno a noi e si intuiva a malapena cosa stesse succedendo dieci metri più in alto. Perdetti ogni speranza nel bel tempo e nella favolosa vista del Budda al “Golden Summit” e decisi di godermi almeno una bella escursione in montagna come non facevo dall’Himalaya. Magra consolazione.
Proseguimmo su un percorso fatto per la maggior parte di scalini e ben mantenuto. Ogni tanto incrociavamo dei turisti cinesi che scendevano e che ci salutavano, chi in inglese, chi in cinese in risposta al nostro saluto cinese “Ni hao” o qualcosa di simile. Molti avevano con sé dei bastoni di bambù che li aiutavano a salire. Noi nessun supporto.
Quando ero oramai già da lungo convinto che l’unico aspetto positivo di quell’escursione fosse fare un po’ di movimento, venni smentito da dei deboli raggi di sole che si insinuavano tra gli alberi e che ci scaldavano e asciugavano dall’umidità patita fino a quel momento.
Man mano che proseguivamo verso la vetta il sole si faceva meno timido e arrivati sotto al Budda era un sole caldo che dominava il cielo azzurro.
La statua d’orata del Budda risplendeva luminosa e accecante nella sua bellezza e imponenza, ma fu solo quando le diedi le spalle che mi resi conto dov’ero e qual’era la vera meraviglia di lassù.
La nebbia che avevamo attraversato formava ora un mare di nuvole bianche che circondavano l’isola del Budda che era la vetta della montagna. Non si vedeva la fine di quel mare e sembrava che noi fossimo sull’unica terraferma esistente al mondo. Una cinquantina di metri sotto di noi le nuvole s’infrangevano sui lati delle montagne. Non avevo mai sperimentato con i miei occhi qualcosa di simile. Se non fossi stato sicuro di aver scalato il monte con le mie gambe e assorbito tutta quell’umidità attraversando quelle nuvole, avrei forse pensato di stare in paradiso, al settimo cielo.
Il sole scaldava l’aria e si poteva stare in maglietta. C’era una leggera brezza che spirava da ovest e portava via le briciole delle nostre noccioline lasciando tutto pulito. C’era un senso di quiete e serenità. Anche le altre persone lo percepivano e ci scambiavamo sorrisi gioendo di quello spettacolo unico. In un tratto dove la montagna scendeva in riva al mare per poi risalire un po’ più in là innalzando un tempio, il vento, che spirava più forte in quel punto, spinse delle nuvole oltre quel pezzo di terra. Sembrava che un’onda enorme avesse superato quella diga naturale e formava una cascata di nuvole sul lato opposto. Incredibile e impossibile spiegarlo a parole.
Dopo aver goduto per un paio d’ore di quello spettacolo unico che la natura ci aveva generosamente offerto, decidemmo di scendere tra i comuni mortali e di andare al monastero della “Piscina degli Elefanti” per soggiornarvi. Ovviamente lì, a oltre duemila metri, nessun elefante s’è mai fatto il bagno, ma a loro piace pensare che ci sia una leggenda che coinvolga un ‘elefante da quelle parti, forse perso, e allora lasciamo fare che rende tutto più bello e misterioso.
Scendemmo di corsa perché s’era fatto tardi e arrivammo al monastero che era buio e con la nebbia che non ci aveva dato un attimo di tregua. Più volte ci chiedemmo dov’eravamo finiti perché non si vedeva nulla attorno a noi se non grigio che si scuriva sempre più. Fortunatamente, per qualche motivo che non mi spiego c’era sempre con noi un po’ di luce che ci permetteva di proseguire senza inciampare sugli scalini e finire al monastero rotolando e con qualche ossa rotta o caviglia slogata.
L’unico posto libero al monastero era in una stanza di cinque letti e uno occupato da un tedesco dai capelli bianchi e dal fisico e dall’aspetto giovane per un uomo sulla cinquantina. Andy insistette per prenderla e noi eravamo d’accordo con lui.
“Salve,” dissi al tedesco “come ti chiami?”
“Micheal” rispose con un sorriso
“Ah, come Micheal Schumacher”
“Ehm… sì… Ora vado a letto. Devo svegliarmi presto. Immagino anche voi.”
Andammo a dormire dopo aver cenato condividendo tre piatti cinesi tra di noi. Lungo il breve sentiero che riportava al monastero notai delle luci a fondo valle. Era la prima volta che riconoscevo qualcosa là sotto.
Mi addormentai subito, ma poco dopo la mezzanotte fui svegliato da un rumore. Aprii gli occhi e vedi luce attorno a me. Pensai che qualcuno si fosse alzato per andare in bagno e che senza rispetto per gli altri avesse acceso la luce.
Sentii dei rumori proveniente dalla zone che identificavo come Germania.
“Ciao, sei sveglio?” mi dissi Micheal.
“Beh, che ne dici? Col tutto il casino che stai facendo!” risposi infastidito. Aspetta un attimo… quello non aveva solo il nome come Schumacher… quello ERA Schumacher.
Mi stropicciai gli occhi e mi diedi un pizzicotto. “Ahi!” Ero sveglio. Non stavo sognando.
“Forse e meglio che ti alzi e che ti spieghi.”
Micheal aveva un’aria bonaria e sembrava Schumacher a cinquant’anni. Inoltre ispirava fiducia e serenità. Aveva una voce tranquilla senza jà, avere accento di Germania, jà. Sembrava quasi radioso. O forse era la stanza più luminosa, o forse ero io che dal buio totale avevo aperto gli occhi, o forse era la cena di ieri.
Mi alzai e notai che sebbene in maglietta a e pantaloni del pigiama non faceva freddo. “Devono avere un sistema spirituale di scaldare le stanze del monastero.” Pensai e non ci feci troppo caso.
Di fianco a Micheal c’era Andy che mi fece cenno di sì con la testa. “Sì cosa?” volevo chiedergli. Franta dormiva. Sembravo l’unico a non capirci nulla in quella storia. Forse i funghi di ieri sera non erano prataioli ma allucinogeni…
Mi alzai e li segui, in silenzio più per curiosità e per assenza di ragionamenti logici.
Arrivammo sul punto da dove avevo visto le luci del villaggio più sotto. Il sole stava per sorgere e Micheal cominciò:
“Non so come dirlo in modo migliore. Non sono mai stato bravo in questo. Però tocca a me stavolta. Di solito mando qualcun altro. Vedi, questo mondo non è più il tuo e sono qui per condurti in un posto migliore.”
“Vuoi dire che andiamo in Tailandia a fare immersioni?”
“Ricominciamo.”
“Intendi ricomincio il viaggio? La salita? No, quella no!”
“Sei morto e sono venuto a prenderti per portarti in paradiso, in uno dei cieli del paradiso.”
“Scusa puoi ripetere?”
“Mi spiace, ma il mondo dei vivi non ti appartiene. Il paradiso è la tua nuova dimora eterna. Mi sembra un buono scambio. Di solito la gente fa salti di gioia.”
“Fammi capire. Sono morto e siccome mi son comportato bene, vado in paradiso. Giusto?”
“E’ quello che ho appena detto due volte.” Il sopracciglio destro di Micheal si inarcò leggermente.
“A me, sembra una balla.”
“In quanto angelo, non posso mentire… solitamente.”
“E come sarei morto? E com’è che sono ancora dov’ero ieri? E Andy lì dietro che c’entra?”
“Ieri, ti ricordi in autobus quando ti sei svegliato i soprassalto?”
“Cavoli se me lo ricordo! Stavo dormendo placidamente e l’autista dev’essere stato un ubriacone perché prese una curva talmente larga che pensai di fare in 500 metri fino al torrente là sotto in volo.”
“Precisamente.”
“…”
“L’autista era ubriaco. L’autobus è andato fuori strada. Nessun sopravvissuto. Vedo che mi guardi perplesso. Osserva lì sotto. Proprio lì, dove ieri hai visto le luci. Non erano luci del villaggio, ma erano i mezzi di soccorso che cercano di estrarre i corpi di te, Franta e l’autista.”
“E Andy?”
Per la prima volta da quando era lì Andy parlò.
“Sono qui. Sono stato assunto dal paradiso per salvaguardarti fino a quando non fosse giunto il momento della chiamata. Non sapevo quando, ne’ come. Non lo so mai. Non sono un angelo. Sono uno che s’è guadagnato il paradiso e che lavora come free lance per rompere la monotonia della gioia eterna. Seguo i predestinati e li accompagno lungo la loro esistenza terrena. Poi arrivano loro” e indicò Micheal “e io mi faccio da parte.”
“Quindi tu eri una vera a propria guida per noi. E noi che ti prendevamo in giro dicendo che era una guida visto che parli cinese e ci facevi da interprete per tutto.”
“L’ho fatto volentieri.”
“Aspetta, e Franta? Perché non è qui?”
“Lui passano a prenderlo più tardi. Viene Pavel Nedved.” Concluse Andy e si eclissò.
“Ho capito,” finsi di arrendermi all’evidenza che per me era ancora un sogno “ma se sei un angelo, saresti Michelangelo Schumacher, giusto?”
“Cominci a capire.”
“Ma non sei morto! Guidi ancora la Mercedes in formula uno!”
“Ne’ io, ne’ Pavel siamo morti se è per questo. Siamo angeli e ogni tanto, a tempo libero, andiamo sulla terra a divertirci e a far divertire donando un’emozione, un po’ di gioia. L’ha deciso il grande capo e a me va benissimo. Sono venuto a prenderti con la vecchia Benetton e faremo in un lampo fino al paradiso. Quando finisco il turno presto vado a fare un gran premio o le qualifiche.”
“Cavoli, Michelangelo! Sei proprio forte.”
“Basta poco a noi angeli per fare delle cose straordinarie. Basta chiacchiere ora. Se sei d’accordo andiamo così finisco le prove libere del venerdì.”
“Un attimo. Com’è il paradiso?” chiesi speranzoso.
“Ne hai visto un assaggio ieri. Sul Monte Emei. Quello è uno dei cieli più bassi. Fammi vedere dove andrai tu. Al settimo no, al sesto neppure…. Al secondo. Non eccezionale come inizio, ma sei pure sempre in paradiso, dico bene? Ad esempio sull’Everest è meglio.” e mi fece l’occhiolino dandomi un colpetto col gomito.
“Sei sicuro? Si dice che salire all’Everest è un inferno…”
“COSA?” Fece lui con una voce adirata “Chi dice questo? E’ un peccato mortale.”
“Mah… dicerie… ovviamente messe in giro dal diavolo.” Mi difesi in corner.
“Hmmm, sarà così. Quel tizio là sotto ne inventa sempre una di nuova.” E inarcò tutte e due le sopracciglia pensieroso prendendo appunti.
“Ora ho capito Michelangelo Schumacher. Solo mi sembra così strano…”
“Che io sia un angelo?” Disse con il sopracciglio un po’ più inarcato di prima alzando gli occhi dal blocco per gli appunti.
“No, non dico questo. Sai quanto ti ammiro. Sapevo c’era qualcosa di celestiale nella tua guida.”
“Dankeschoen.”
“Eh?”
“Grazie. Scusa ogni tanto entro troppo nella parte terrena.”
“Ecco, quello che volevo dire è che non mi aspettavo di trovare il paradiso qui in Cina, su una montagna buddista… Alla fin fine sono pur sempre di origine cattolica.”
“Mio caro Andrea, è tutto sotto la stessa baracca. E’ tutto UNO. Solamente che a voi umani non piacciono le cose semplici. Voi cercate sempre la cosa personalizzata, il consumatore ha il diritto ad avere un prodotto fatto su misura. E allora abbiamo dovuto venire incontro alle vostre nuove usanze. Abbiamo, usando parole che vanno in voga, diversificato l’offerta per un target eterogeneo. Perciò abbiamo creato diverse religioni, ma che in realtà sono UNA sola. Il gran capo è UNO. E’ stata una sua idea. Brillante come sempre, direi. Poi ovvio che voi prendete le cose buone e ne fate un disastro. Come la dinamite di Nobel inizialmente usato per aiutare i minatori, o i fuochi d’artificio cinesi trasformati in polvere da sparo, o…”
“O il ketchup per le patatine fritte che qualche popolo si ostina ad usare con gli spaghetti.”
“Vedo che hai capito il concetto del uso improprio delle cose.”
“Grazie.” Oramai cominciavo veramente a capire. Mi piaceva Michelangelo Schumacher, ancora di più di Micheal Schumacher.
“Andiamo, che altrimenti mi fanno usare solo un treno di gomme.”
“Aspetta. Vorrei capire un paio di cose prima. Ho un posto in paradiso, e me ne rallegro, ma io credevo di aver commesso dei peccati che…”
“No, fare sesso prima del matrimonio col preservativo non è peccato.”
“Oh, e allora le…
“No, nemmeno farsi le seghe.
“Ah, e gli…”
“No, gli spinelli che ti fanno sballare non sono peccato se vengono fatti girare.”
“Ora mi è tutto chiaro. Possiamo andare.”
“In realtà qui leggo qualcosa che non capisco. Salire in autobus senza biglietto...”
“Beh, effettivamente…”
“perché in questo caso andresti all’inferno.”
“effettivamente è un errore.”
“Bene, allora procediamo.”
“Un’ultima cosa…”
“Cosa cazzo!” Disse Michelangelo un po’ spazientito e in quel momento sentii il rumore di un motore: Vrrrroooom. “Ecco lo sapevo.”
“Cos’è stato?”
“Ogni volta che impreco il capo mi fa sentire il motore di una F1 che mi ricorda la mia punizione. Al prossimo gran premio mi farà arrivare dopo Massa… Se continuo a imprecare mi fa rompere il motore, perdere punti, etc… Arrivare dopo Massa è una cosa che mi da ai nervi in una maniera incredibile. Non lo sopporto.” C’era disperazione mista a rassegnazione sul volto di Michelangelo Schumacher. “Cosa volevi dire ancora? Poi però andiamo.”
“Volevo farti i complimenti perché guidi da Dio.”
Vrrrrooom, vrrrroooom.
“No, Capo! Non sono stato io…”
“…”
“Niente da fare, ora mi farà rompere il motore. Non gli piace quando qualcuno si paragona a lui. Ora andiamo.” Mi prese e con la sua Benetton Renault, per l’occasione a due posti, arrivammo in un baleno all’entrata del paradiso.
“Franta arriverà tra poco. Io ti lascio qui devo aspettare un geometra di Abbiate Grasso.”
“Grazie Michelangelo. Un’ultimissima cosa. C’è facebook in paradiso?”
“C’è ma tu per ora non hai accesso al secondo cielo.”
“Ma ne ho bisogno!”
“Non esagerare figliolo. Ti ho detto di no.”
“Ok, certo detto da uno che guida come un D..”
“Ok! Non continuare. Accesso a Facebook e ora vai. Questo è l’indirizzo dove andrai. Dopo il parco a destra.”
Travolto da quell’ondata di emozioni mi fermai al parco per qualche minuto. All’improvviso sentii un susseguirsi di vrrrooom, almeno dieci uno più rumoroso dell’altro. Dovetti tapparmi le orecchie e mentre lo facevo vidi arrivare di corsa un uomo anche lui appena entrato come me. Si sedette al mio fianco recuperando il fiato.
“Che corsa m’ha fatto fare Michelangelo, ma non capisco perché… Beh, io sono nuovo di qui.”
“Anch’io appena arrivato. Andrea Gusso, Caorle.”
“Piacere, geometra Filippo Massa, Abbiate Grasso.”
Capii il motivo di tutti quei vrrrrooom.
La domenica al gran premio di Monza Schumacher, Micheal Schumacher, ruppe tutti i motori a disposizione, quello di prova, quello di gara, quello di riserva, quello montato di notte dai meccanici, quello portato di nascosto sotto le tette delle hostess del gran premio, quello rubato alla Red Bull, quello trovato negli ovetti kinder, quello montato con le edizioni settimanali del topolino e quello comprato al mercatino dell’usato sui Navigli a Milano. Rientrò ai box trasportato da un giudice di gara su di un ciao. A metà parabolica il cinquantino si ruppe. A detta dei giornalisti fu un gran premio sfortunato quello del campione tedesco che fino a quel momento aveva guidato come un Dio...
Vrrrroooommm.
Lo stesso giorno che Andrea entrò in paradiso cambiò lo status su facebook:
“Il paradiso esiste ed è uno sballo che ti manda fuori di testa! Chi dice il contrario non capisce una sega.”
- blog di Unprepared Andrea
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Commenti
stupendo,potresti diventare
stupendo,potresti diventare uno scrittore..:-)
dovrei chiedere consigli a
dovrei chiedere consigli a Mastro Elfo per poter imparare a scrivere...