11.03 Ci vuole buona speranza a Città del Capo

Appena arrivati a Durban si accese in me la speranza che dopo tutto non si stesse poi così male in Sudafrica. La giornata era piacevole, il sole caldo e subito ci dirigemmo verso la spiaggia seguendo le indicazioni del mio dna dell’altro adriatico.

C’erano molte persone che passeggiavano sul lungo mare, altre giocavano sulla spiaggia ad improvvisati tornei di calcetto. C’era pure chi provava a colpire un wicked a cricket. Il Fan Fest, l’area per i festeggiamenti dei mondiali col maxi schermo, era in riva al mare. Le onde dell’oceano si lasciavano cavalcare dai surfisti, e spettatori affascinati da questi eroi ammiravano i volteggi fantasticando di abbracciare una tavola e scivolare sull’onda in precario equilibrio in una posizione che normalmente si considererebbe insulsa, e che invece sulla tavola fa tanto figo.

Finalmente mi era tornato il sorriso. Alla Banana Backpackers, luogo consigliato da un tedesco a Joburg, era piena di tifosi. Il tifoso si distingue dal turista e dal viaggiatore per l’assoluta mancanza di interesse in tutto quello che non è calcio. Il turista si riconosce dalle scottature del sole e dalla parte di foresta amazzonica che si porta dietro sotto forma di volantini, brochure, guide e altro materiale cartaceo, solitamente inutile. Il viaggiatore è invece un taccagno che vuol fare il giro del mondo senza una lira e per questo gira si il mondo, ma non può permettersi di vedere nulla di interessante. Tuttavia c’è un comportamento simile in tutte e tre le fattispecie: sia il tifoso, che il turista e il viaggiatore solitamente non ascoltano, ma parlano di sé.

Nella nostra costosa camerata per dieci persone avevamo due ospiti che non pagavano l’affitto: Harnie e Berny, due enormi scarafaggi che di giorno stavano tranquilli tra le fessure del pavimento e di sera uscivano a fare una passeggiata e a controllare che tutto fosse a posto in camerata. Erano la nostra security. Purtroppo Harnie fu assassinato per mano, o meglio piede, di un sicario olandese e Berny si suicidò poco dopo gettandosi dal balcone del nostro terzo piano.

Purtroppo il mio sorriso svanì presto. Al Fan Fest faceva freddo per le partite serali e c’era poca gente con cui discutere di calcio. In serata cominciò a piovere e il brutto tempo ci accompagnò per i giorni a seguire. Infine anche a Durban c’era il coprifuoco notturno.

Incontrammo un indiano che ci disse come per lui fosse un’eccezione andare in centro con la famiglia. Lo faceva solamente ora perché grazie ai mondiali c’erano molti poliziotti per strada. E dopo i mondiali? Sperava la situazione sarebbe migliorata, ma era realista e non si illudeva. Sarebbe rimasto nella sua township indiana poco fuori il centro controllata da una sorta di polizia comunitaria indiana. Oppure sarebbe andato nei centri commerciali, come al solito. Gli chiesi se fosse mai stato vittima di rapine come era successo a decine di tifosi lì a Durban. Rise. “Ho perso il conto di quante volte. Un paio di volte sono dovuto tornare a casa in mutande.” Anche Durban era una città da bollino rosso.

Una sera incontrammo due cileni che avevano due posti vuoti in auto per andare a Port Elizabeth. Ci unimmo a loro pagando la benzina. Soggiornammo a East London lungo la strada in una guesthouse protetta da filo spinato attraverso il quale passava corrente elettrica. Tutte le case nei quartieri decenti del Sudafrica erano protette da recinzioni a corrente elettrica e guardie armate “Armed Response”, le guardie sono armate, era il minaccioso messaggio che si leggeva sui cartelli appesi attorno agli edifici. Una volta a Port Elizabeth prendemmo l’autobus Intercape per Città del Capo. Dove arrivammo senza problemi accompagnati da video clip di gospel evangelici.

Alla stazione degli autobus adiacente a quella dei treni chiacchierai lungamente con un afrikaner, un bianco sudafricano. Era al banco delle informazioni per accogliere gli appassionati di calcio che si dirigevano in città. Aveva i capelli arancioni e la carnagione bianchissima. Non era del luogo ma sapeva tutto sulla città. Aveva un sogno: andare a vivere in Olanda, da dove i suoi avi boeri provenivano. Non era un boero, la sua famiglia non aveva proprietà terriere, ma soffriva nel suo Paese. Non gli piaceva più e sognava un posto senza odio e violenza, in particolare contro i bianchi, e vedeva l’Europa come il posto giusto per lui. Nei suoi piani sarebbe partito tra poco.

Fu molto interessante parlare con lui. Ci raccontò delle follie che succedevano nei villaggi dove la gente si fa giustizia da sola e si uccide per una mucca. Disse che Città del Capo era migliore delle altre grandi città sudafricane, ma che alla sera era meglio prendere un taxi per spostarsi in ogni caso. Era un bianco in un team di neri, e si sentiva un po’ discriminato in alcune scelte che il capo faceva, come per i turni o le possibilità di carriera, ma erano piccolezze per lui e non le faceva pesare più di tanto anche se al tempo stesso era pessimista per il futuro e per questo voleva andare via. Secondo lui il problema principale della diffusione dell’AIDS in Sudafrica era l’ignoranza della gente. Mi ricordò che Zuma, il presidente in carica, disse che per togliersi di dosso l’HIV è sufficiente farsi un bagno caldo. L’avevo già sentita sta stronzata da qualche parte. Comunque la situazione stava migliorando e gli uomini cominciavano a sottoporsi ai test. Per la popolazione maschile era un’umiliazione andare a fare un controllo dal medico, in quanto l’uomo non poteva essere causa di contagio, era solo la donna quella che poteva ammalarsi e trasmettere la malattia. Al massimo erano gli uomini bianchi, che, secondo alcune idee che giravano per i villaggi remoti, avevano portato la malattia tra la gente. Insomma razzismo e sessismo.

Accompagnai Franta a fare richiesta del visto per la Namibia. Per noi italiani non era necessario, così risparmia una cinquantina di dollari. Ci mettemmo alla ricerca di un ostello, ma era tutto pieno per l’imminente quarto di finale e lo sarebbe stato fino alla semifinale. Trovammo un ostello incredibilmente a buon mercato dopo aver ricevuto offerte per prezzi assurdi o tutto esaurito come risposta. Fu solo per una notte. Poi andammo fuori città in un paesino lungo la cosa occidentale del capo, Muizenberg.

Arrivammo a Muizenberg con il treno e un trasferimento su un autobus a causa di un’interruzione sulla linea. I viaggiatori ci aiutarono a scendere alla fermata giusta, e in paese ci indicarono l’ostello che era a due passi. Eravamo in riva al mare con vista sulla baia dove i surfisti imparavano a scivolare sulle semplici e piccole onde. Era una scuola per surfisti e fui tentato di provare anch’io, ma l’acqua gelida raffreddò il mio entusiasmo e optai per sdraiarmi sul divano guardando Germania-Argentina.
Alla reception c’era un personaggio curioso. Proveniva dall’Africa Occidentale e aveva un forte accento francese quando parlava inglese. Sul tavolo vicino al registro delle presenze c’era una bibbia aperta. Non si interessava molto di calcio, ma si scomodò per venire a dirci che l’Argentina avrebbe perso perché c’era un calciatore che si chiamava Jesus e perciò sarebbero stati puniti perché volevano essere come Dio. Questo è il vero motivo del 4 a 0 subito, una profezia non avrebbe potuto essere meglio rappresentata.

Il paese sembrava tranquillo e alla sera uscimmo per andare a fare la solita spesa al supermercato per risparmiare. In Sudafrica non andai mai al ristorante, mangia solo cucinando negli ostelli o qualcosa di precotto trovato al supermercato. Di tanto in tanto ci concedevamo un fast food.

Purtroppo alla sera due ragazzi austriaci appena arrivati furono rapinati dietro l’angolo della piazzetta. Anche Muizenberg entrò nella lista nera. Ci chiedemmo quando sarebbe giunto il nostro momento, ma fummo fortunati. Con un po’ d’attenzione, come ad esempio non girare di notte e non portare con sé cose di valore oppure non metterle in vista, in Sudafrica non ci accadde nulla. Le rapine sembrava caderci attorno, sfiorandoci, ma senza colpirci.

Il giorno dopo andammo al Capo di Buona Speranza. Prendemmo un tour perché non avevamo molto tempo a disposizione. Il capo si trova dentro una riserva naturale con zebre, struzzi, antilopi e babbuini affamati e aggressivi una volta che puntano al tuo panino. Attraversammo il parco in auto e scendemmo nei pressi del capo. Dopo due passi mi trovavo nel punto più a sud dell’Africa. A sinistra il caldo Oceano Indiano, a destra l’Oceano Atlantico attraversato dalle gelide correnti antartiche, davanti a me, oltre il mare, l’Antartide per la seconda volta durante il mio viaggio. Sembrava fosse l’ultima frontiera del mio mondo, lì pronto a ricordarmi che c’era un limite che non potevo superare.

Le onde dei due oceani si infrangevano potenti sull’alta scogliera colorando tutto di bianco con la schiuma rabbiosa. Lungo la costa si alzava una leggera foschia mentre quattro struzzi femmina continuavano a brucare l’erba incuranti dello spettacolo del mare e delle macchine fotografiche. Guardavo estasiato la forza dell’oceano. La sua vastità occupava il mio cuore e la sua energia penetrava nei miei polmoni fino a farli esplodere in un grido intriso di rabbia e gioia. Non so perché gridai. A volte le emozioni escono in modi inaspettati, basta lasciarle andare e non ingabbiarle dentro. Così feci e mi sentii pieno di vita. Il mare è una medicina per me, quasi una droga. Il mio patrimonio genetico ringraziò per quella iniezione di mare nel mio corpo e mi congedai.

Da quel punto erano passati Vasco de Gama e Armando Diaz. Da quel punto cominciava il mio viaggio via terra verso nord, da Città del Capo ad Alessandria d’Egitto.

Commenti

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saluti e baci da caorle

certo che ne hai fatta di strada,tutti almeno 1 volta nella vita hanno pensato di fare quello che stai facendo tu viaggiare per il mondo.....ma io l'ho solo pensato azzz ....beato te ti invidio per questo ....almeno tu nn lo dici e basta ma vai ai fatti ....ti seguiro cosi un po sogno di viaggiare con te ciao un baccione e un saluto anche al tuo amico che nn conosco....cmq andrea quando torni farai una proiezione da qualche parte che veniamo tutti a vederla ciao ciao chiara

Sei ancora in tempo per

Sei ancora in tempo per viaggiare, no? magari non ti consiglio di passare in Pakistan:)))
si puo' sempre viaggiare poco a poco, non serve farlo tutto in una volta.
devo ammettere che sono fortunato, molto fortunato, a fare quello che sto facendo e, toccando ferro, tutto va piu' o meno bene (a parte alcune grane qua e la').
grazie per il messaggio, mi fa piacere se qualcuno puo' sognare insieme a me:)
ciao