I ponti di Esfahan

I ponti di Esfahan fanno innamorare. Se in Turchia, il nostro solito corano del viaggiatore Lonely Planet ci disse mentendo che ci saremmo innamorati di Mardin, ignorò il pericolo che Esfahan poteva rappresentare per noi.

Arrivammo alla bella e ben fornita stazione degli autobus, con incluso persino un hotel, alle cinque del mattino. In anticipo di almeno un’ora sull’orario previsto! Facemmo colazione e aspettammo che la città si svegliasse col sole. Il solito tè con due enormi plumcake da pasticceria ci aiutò a riprendere coscienza di noi e a scaldarci.

Anche alla mattina presto venimmo accolti da ripetuti seppur assonati “Hello Mister, How are you?”. Il nostro tormentone che a volte non si digeriva bene, soprattutto alla mattina presto. Un elegante uomo d’affari con due baffi ben curati e con un ottimo inglese ci tenne compagnia per circa un’ora spiegandoci il suo punto di vista sulla storia dell’Iran.

“Chiedete alla gente da dove vengono.” Iniziò la sua lezione. “In Iran vi risponderanno che siamo tutti Persiani, ma la Persia non esiste e ha smesso di esistere centinaia d’anni fa con l’arrivo degli arabi.”
“Intende dire che lei non è iraniano?” chiesi un po’ confuso sebbene la cosa mi suonava interessante o quanto meno non ortodossa.
“Sono iraniano di passaporto, ma sono azero, non sono persiano. L’Azerbaijan è una regione che si estende dal Mar Caspio fino a quasi Teheran e la città più importante è Tabriz. L’avete visitata?”
“Ehm… purtroppo, no. Siamo di corsa. Il visto per il Pakistan scade fra poco più di un paio di settimane e siccome abbiamo accumulato ritardi” e lanciai un raggio laser con lo sguardo a Franta “non possiamo passare molto tempo in Iran rischiando di aver problemi dall’altra parte.”
“Capisco. Peccato, perché è una delle città più belle dell’Iran.
Comunque quello che intendevo dire è che quelli che si considerano Persiani sono di fatto Turchi. I Turcomanni e il loro dominio si estendeva enormemente occupando anche questi regioni. Sono loro che hanno portato la lingua, hanno fatto sì che la religione fosse radicata nella popolazioni che erano in realtà Zoroastriani. Sono loro e chi li ha seguiti che hanno ridotto il cristianesimo armeno a quasi nullo e hanno forzatamente trapiantato una comunità armena a centinaia di chilometri di distanza da casa loro. I principali monumenti sono Turchi. Quello che è interessante e ha valore in Iran è stato in gran parte costruito dai Turchi.”
Che i Turchi fossero arrivati dappertutto con il loro impero lo sapevo, ma non avevo mai valutato l’impatto che hanno avuto sulle altre civiltà e sui Paesi che hanno seguito la loro disfatta. Per me l’Impero Ottomano era l’Impero del Male, quello che era arrivato fino a Vienna e che Marco d’Aviano aveva contribuito a sconfiggere aiutando i regnanti europei a raccogliere sotto una stessa bandiera le truppe d’Europa, eccetto i Francesi che al solito fanno le cose a modo loro. I turcomanni erano i cattivi, quelli che uccidevano e distruggevano, non creatori di bellezze o monumenti.
“Non c’è dubbio,” continuò il nostro uomo d’affari in vena di divulgazione di conoscenza “quelli che comandano e che si dicono Persiani, hanno ben poco da vantarsi delle origini che altro non sono turche, al contrario di noi Azeri.”
Capii in quel momento un po’ in ritardo. Anche l’Iran, essendo così esteso, è composto da diverse nazioni che accettano con poco entusiasmo di stare sotto una bandiera che gli è stata imposta e che non è la loro. Anche qui gli Azeri si consideravano diversi e con tradizioni molto più solide di chi stava al potere.

Insistendo nel non prendere taxi, ma viaggiando solo con mezzi pubblici salimmo su un autobus per il centro aiutati da un passante.
“Dovete prendere l’autobus numero 22, costa 500” e già qui ci chiedemmo due cose, anzi tre, la prima perché ci parlava sapendo già dove volevamo andare, la seconda era come avremmo fatto a individuare il numero 22 in arabo che è scritto come una specie di sette ma da destra verso sinistra, e la terza era se 500 erano toman o rial, la solita confusione, “scendete in centro quando l’autista ve lo dice. Non preoccupatevi gli parlo io. Vi aiuto perché io sono arabo, non sono persiano.” E ci mandò un sorriso d’intesa per aggiungere senza parole “Io sono più gentile e ospitale di questi qui.”
In un paio d’ora mi resi conto dell’antagonismo tra le diverse razze che non riuscivo a distinguere, e forse non volevo e non voglio.

Con i nostri enormi zaini bloccammo tutto l’autobus obbligando le persone a diventare sottilette se volevano scendere e capimmo che a Esfahan si paga quando si scende. Una volta in centro andammo in giro per alberghi in cerca del nostro, un ostello a poco prezzo e pulito. Dopo un po’ di ricerca e inutili contrattazioni trovammo la nostra casa nell’hotel Shad. Scoprimmo anche che alcuni alberghi non possono ospitare stranieri perché sprovvisti di licenza.

Nel pomeriggio era in programma quello che la nostra guida definiva come “Half of the world tour”. Ne completammo metà di quel mezzo giro del mondo. Nell’enorme e quasi deserta piazza Imam fummo avvicinati da una ragazza che parlava inglese. Era una studentessa di teatro e voleva andare fuori dall’Iran in cerca di qualcosa di diverso. Si offrì di accompagnarci in giro per la piazza e di portarci a bere un te a fumare un qalyun. Come potemmo rifiutare una simile offerta?

Mentre ammiravamo le moschee e i palazzi attorno alla piazza sotto un piacevole sole, la ragazza, Neda, continuava a guardarsi in giro sospettosa e ad aggiustarsi i capelli sotto il velo che le cadeva all’indietro.
“Scusate, cosa mi avete chiesto?” interrompeva di tanto in tanto guardando un punto indefinito della piazza “Ero distratta perché devo controllare che non ci siano poliziotti in giro. A loro non piace che si parli con stranieri soprattutto noi ragazze. E poi controllano sempre il velo se non è a posto. Un paio di mesi fa mi hanno portato in centrale di polizia perché il velo mostrava troppi capelli.”
Vedeva poliziotti ovunque e pensammo che forse esagerava un po’ o che la polizia iraniana è la più stupida del mondo, non tanto perché ferma le ragazze che non coprono il capo adeguatamente, ma perché lei è rimasta con noi tutto il tempo senza problemi ed era impossibile non notare una piccola ragazza che chiacchiera con due persone alte, con gli occhi chiari, bianchi come il latte, con due zaini multicolore che fanno foto a tutto compresi i piccioni. Decidemmo che esagerava e che amava drammatizzare, ciononostante era simpatica e la assecondammo. Non era bella e Franta mostrava segni di indifferenza, mentre io cercavo di spiegarli che poteva avere delle amiche carine e che era l’unica persona di sesso non maschile che ci parlava dopo diversi giorni. Il mio bicchiere è sempre mezzo pieno. A volte mezzo pieno di cazzate.

Entrammo in un salone da tè diviso in due stanze, una per gli uomini e una per donne o per gruppi di giovani misti. Dal soffitto scendevano lampade e candelieri di tutti i tipi, tant’è che pensai di essere entrato da un antiquario e che la nostra Neda volesse rifilarci qualcosa. Mi sbagliai e passammo una gradevole ora sorseggiando tè e mangiando pasticcini troppo zuccherati per poi scoprire che in quel locale, come in tanti altri in Iran, applicano la tariffa speciale per stranieri facendoci pagare più del doppio del prezzo normale.

Alla sera trovammo un “cafenet” per passare del tempo inutilmente navigando su internet e scoprire che alcuni siti o parte di essi avevano l’accesso bloccato causa contenuto non ammesso. Questi siti web erano pagine di notizie, social network e a volte alcuni indirizzi e-mail. Concludemmo la serata con un gelato nonostante il freddo in un negozietto che si vantava di avere la macchina per gelato made in Italy. Sorprendentemente il gelato era veramente buono, come in Italia.

Alla mattina ritornammo dal nostro gelataio che preparava anche colazioni e stringemmo amicizia con il nipote del gestore, un ragazzo che parlava russo perché studiava architettura in Ucraina. Franta salì in cattedra e ringraziò gli anni persi studiando il russo sotto il regime comunista che occupava l’allora Cecoslovacchia. Ci mettemmo d’accordo di incontrarci nel tardo pomeriggio per un tè e un qalyun.

Visitammo le rovine del tempio del fuoco degli Zorastriani e i minareti di Manar Jomban dove scuotendo vigorosamente uno dei due minareti, anche l’altro oscilla facendo suonare i campanelli posizionati appositamente attorno. Sembra che non si sia riuscito ancora a spiegare come i due minareti siano collegati. Ovviamente utilizzammo solo autobus.

Come d’accordo ci incontrammo con Hossein che ci fece da cicerone. Andammo allo stesso salone da tè dove eravamo andati il giorno prima con Neda, e poi accettammo il suggerimento di cenare iraniano distesi su lunghi tappeti. Hossein parlava liberamente.
“Spero di restare all’estero. Anche se l’Ucraina è più povera dell’Iran almeno lì mi sento più libero di dire quello che penso, di incontrare ragazze senza dover star attento a quello che faccio in pubblico, posso bere alcolici se e quando voglio.”
“In Iran il governo non sta facendo bene. Le cose costano sempre di più e non c’è lavoro per i laureati.” Queste due frasi le sentimmo diverse volte da studenti universitari che vagavano disoccupati lungo il fiume e che stavano studiando l’inglese o altro per occupare il tempo e con la speranza di andare altrove. “Siamo un Paese ricco di risorse e non le investiamo in posti di lavoro o infrastrutture e inoltre non c’è supporto sociale per i disoccupati e i meno abbienti. Non so cosa fanno con i soldi!”
“Investono in nucleare? Danno i soldi alla religione che si occupa dei poveri?” azzardammo.
“Il nucleare va bene, ma sarebbe meglio aiutare quei poveri” e indicò dei barboni che dormivano lungo la strada. “Non parliamo di religione poi. La religione è un bazar, o meglio la struttura religiosa è un bazar e un immensa macchina di marketing. I capi religiosi predicano di non accumulare ricchezze e poi loro sono i primi ad averne più del dovuto. La gente poi segue ciecamente senza pensare con la testa propria. E poi ci sono i fanatici come gli Hezbollah. Gli Hezbollah sono criminali.” Non indagammo oltre su questo flusso di parole che sembrava più uno sfogo con dei classici stereotipi che uno ragionamento logico. In ogni caso questo era uno dei pensieri che girava in Iran.
Gli dicemmo che noi, dell’Iran, non sappiamo molto e che molte informazioni le abbiamo attraverso la televisione, di solito americana o inglese, chiaramente di parte.
“Hanno ragione loro” fu la sentenza finale. Gli chiedemmo se era possibile guardare la televisione internazionale.
“Certo. Col satellite. E dai canali via satellite o dai dvd è possibile vedere i film stranieri. I canali nazionali non trasmettono nulla made in Europe o in America.” Questo ci bastò.

Al ristorante ci sedemmo a gambe incrociate per poi lentamente allungarsi sui tappeti. La cena fu ottima. Riso con kebab di pollo e agnello innaffiati da dell’ayran. Poi ci dedicammo al tè e al qalyum. Attorno a noi sedevano famiglie con bambini e più tardi entrarono un gruppo di ragazze che subito cominciarono a guardarci. Hossein scambiò un paio di parole con loro spiegandogli chi eravamo. Erano belle ragazze ed eravamo un po’ sorpresi dal fatto che sembravano più intraprendenti di quanto avevamo visto fin ora nei rapporti uomini-donne in quel Paese.
Ad un certo punto senti una delle ragazze gridare verso di noi “Ti amo”. Le invitammo subito da noi anche se poi eravamo un po’ imbarazzati di essere abbigliati da viaggiatori e con la barba incolta davanti a tali eleganti bellezze. L’avessi saputo mi sarei messo i calzini per le feste. Le due ragazze che vennero da noi erano gemelle! Capelli neri con occhi ancora più neri e profondi da far dir di sì a qualsiasi cosa, e avevano un trucco leggero sul viso. Indossavano un paio di blue jeans and una maglietta nera. Avevano una figura che poteva dirsi creata in una palestra di aerobica e riuscivamo a distinguerle perché il volto di una delle due era leggermente più magro dell’altra e il velo che coprivano il capo erano di un nero diverso. Parlavano un po’ di inglese e scoprimmo essere una studentessa in ingegneria ambientale e l’altra in microbiologia, due scienziati al nostro confronto. La serata scivolò via piacevole e divertente e restammo per molte settimane, se non mesi abbagliati da quell’incontro. Se dovessi pensare ad un Paese dove le donne sono particolarmente belle e affascinanti, direi subito Iran tra i primi posti. Sì, anche con il velo se portato con stile.

Speravamo di poterle vedere ancora la sera dopo, allo stesso posto. Ci dettero una speranza rimasta disattesa. Il giorno seguente andammo in stazione degli autobus per prendere andare a Shiraz durante la notte, ma una nebbia padana aveva avvolto l’Iran centrale e il viaggio fu cancellato. Disperatamente trovammo un taxi contraddicendo alla nostra abitudine a prendere i mezzi pubblici, ma all’una di notte non ci sono autobus locali che girano. Per fortuna il nostro albergo aveva ancora una stanza per noi e, nonostante la reception fosse già chiusa riuscimmo ad entrare grazie ai ragazzi del ristorantino lì sotto che stavano facendo le pulizie di chiusura.

Il giorno dopo andammo su e giù per i ponti di Esfahan e incontrammo altri studenti che volevano praticare il loro inglese e lamentarsi ripetendo quello che avevamo già sentito sullo stato di salute dell’Iran con gli ormai pochi turisti stranieri che si affacciano da quelle parti. Fummo bloccati da un simpatico vecchietto che volle sapere le percentuali di divorzio in Europa e che si stupì e ci ringraziò enormemente quando gli spiegammo che in Europa questa percentuale può variare enormemente da Paese a Paese. Ci illuminò con la sua teoria secondo la quale le persone usano più il cervello man mano che si allontanano dall’equatore… Non riuscì a spiegarci le basi scientifiche, perché non ce ne sono, ma sembrava così convinto della sua intuizione che non volemmo infierire più di tanto sull’assurdità di tale pensiero.

Finalmente alla sera l’autobus partì e raggiungemmo Shiraz come programmato in attesa di andare a scavare Persepolis fuori dalle sabbie del tempo che l’avevano sepolta.

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"...e restammo per molte

"...e restammo per molte settimane, se non mesi abbagliati da quell’incontro..."

prima di leggerlo, mi stavo chiedendo come avresti fatto a passare dei mesi senza trombare...
poi con questa frase ho avuto la risposta...

Non so se riuciro' a

Non so se riuciro' a sopravvivere a questo tipo di astinenza. Potrebbe essere il vero motivo che mi spingerebbe a concludere il viaggio anzitempo e tornare a verdi pascoli a Praga.

puttan-tour insomma

puttan-tour insomma

Magari!

Oggi parlavo con un indiano e abbiamo analizzato che per conoscere una ragazza indiana in media ci vogliono 6 mesi... 6 mesi!!! Sto pensando di fare meditazione e di diventare un bramino se continua cosi'! Oppure mi sposto velocemente in Tailandia :-)))

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sei mesi per conoscerla e 6 secondi perché ti rompa le balle. fortunatamente non ne avrai il tempo :)

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i record di Andrea sono sempre da centometrista, in effetti...

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mi ricorda in velocità il celebre amico Nick "the quick"!!