09.01 Verso il Bajkal
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Dopo due settimane di deserto, praterie, cavalli, cammelli, capre e vita nomade in tenda, giunse il momento di rimettersi in marcia verso nord. Anziché prendere la comoda transiberiana da Ulan Batar (UB) a Mosca, decidemmo di oltrepassare il confine in autobus e fermarci un paio di giorni al lago Bajkal. L'autobus era piú economico e piú veloce dell'attraversamento in treno, quindi sembró la sceta piú ovvia.
Dovemmo acquistare il biglietto in rubli, ma non ne avevamo con noi. Una simpatica signora ci vide in difficoltá e ci cambio rubli per turgik rimmettendoci. La ringraziammo doppiamente perché ci aveva lasciato abbastanza soldi per mangiare una ricca minestra con carne di pecora e pasta locale all'autogrill prima della frontiera.
Man mano che ci dirigevamo verso nord il paesaggio si faceva piú verde e persino alberato all'opposto de desertico sud. Il modulo d'entrata per la Russia che cercavo di compilare in autobus era in russo o in mongolo. Non avevo speranze di capire come compilarlo. Anche Franta aveva problemi col linguaggio burocratico russo e non sapeva mettere le crocette sul sí o sul no. La signora seduta davanti a noi si voltó ascoltando le nostre perplessitá. "No. No. No. Mettete tutto no." Mi sembró una spiegazione sufficiente e ubbidii.
Al confine mongolo attendemmo a lungo. Ci fecero scendere, lasciare il Paese con il nostro bagaglio sotto braccio, risalire in autobus e dirigerci verso l'altra frontiera, ma... cos'era successo? I conti non tornavano. C'erano piú persone a bordo di quante ce ne fossero state al moento della partenza... Tre o quattro persone sprovviste di mezzo s'erano intrufolate nel nostro autobus per sperare il confine. Furono fatte scendere senza troppi complimenti.
Scesi nuovamente dall'autobus, presi i bagaglio e andaii al controllo passaporti. Mi accolsero due occhi verdi smeraldo. Una bellissima donna poliziotto di frontiera dai capelli bordeaux. Finí di compilare il modulo d'entrata in Russia che io non ero riuscito a riempire, mi sorrise e mi lasció entrare in Russia.
Mái guardai un po' in giro mentre aspettavo che tutti i passegeri dell'autobus espetassero le formalitá doganali coi loro enormi pacchi. I militari in quel presidio di frontiera erano quasi tutti donne. Alcune sembravano modelle con unghie lunghe e colorate, e altr incarnavano la mia idea di donna della campagna russa: massiccia, di ghiaccio e con un taglio di capelli anni '60. Non lontano da dove mi trovavo c'era una chiesa russo ortodossa. All'improvviso ero passato, non dala Mongolia alla Russia, ma dall'Asia all'Europa nonostante la geografia mi diceva che gli Urali erano distanti piú di 2000 km. Mi sentivo giá fuori dall'Asia in un mondo piú familare.
A Ulan Ude vidi la mia prima statua di Vladimir Ilich Lenin, per gli amici: Vladi. Era una testa enorme che mi guardó severa quasi volesse ammonirmi per non credere ciecamente nel soviet. Qualcuno avrebbe dovuto spegargli che quello che lui creó ora é in mano a ben altri poteri che non mi sembrano cerchino di raggiungere quel comunismo che rimane utopia.
Riuscimmo a prendere l'ultimo treno per Irkutsk grazie al russo di Franta in quanto nessuno parlava inglese da quelle parti e nemmeno caorlotto. La mattina seguente vagai attorniato da palazzoni frutto della creativa architettura sovietica in cerca di un ostello. Salii al secondo piano di un fatiscente caseggiato entrando per la porta posteriore. Ad aprire alle otto del mattino con gli occhi semi chiusi fu una ragazza bionda con gli occhiali che indossava una vestaglia leopardata corta ma non troppo.
"Benvenuto in Russia!"
"Eh sí, un bel benvenuto!" dissi tra me e me.
Era l'anniversario della cittá di Irkutsk e nelle piazze erano stati allestiti vari palchi dove nel pomeriggio c'erano spettacoli principalmente per bambini. Faceva freddo e il tempo nuovoloso invitava al riposo. Le due chiesse ortodosse che visitai furono il colpo di grazia alla giornata mi ritirai stanco e infreddolito in ostello. Purtoppo a ragazza leopardata del mattino era sparita.
Il secondo giorno organizzammo il viaggio fino a Mosca e San Pietroburgo e andammo dal dentista nel palazzo di fronte al nostro per un controllo di routine. Per cento rublii mi dissero che i miei denti erano quasi perfetti.
Prima di salire sulla mia casa a rotaia per tre giorni andai a toccare le acque gelide del lago piú profondo al mondo. Ci schiacciamo dentro un minibus in direzione Listovjanka, lago Bajkal.
Il lago non era ghiacciato ma le montagne che lo circondavano erano ancora innevate. Siccome la temperatura era ancora bassa la stagione non era ancora cominciata e non c'era gente in giro. Il nostro ostello era una piccola baita tutta per noi. Comprammo trote affumicate e diedi l'estremo saluto alla botiglia di vodka che avevamo acquistato in Mongolia e non ancora aperta.
Il giorno dopo ci svegliammo stancamente e passeggiammo lungo il lago ammirando i panorama tra la quiete del bosco. Un cane ci prese in simpatiae ci fece da guida. Maciste, cosí chiamato per via della sua corporatura massiccia e per la sua forxa, dapprima ci segui per le stradine del villaggio, poi, quando i cani dele case vicine abbaiavano e ringhiavano contro di noi, pree le nostre difese abbaiando e ringhiando piú forte. Inizialmente mi spaventai e presi in mano pietre e bastone, poi capii che Macist era uno di noi. Ci mostró il sentiero da seguire come percepisse i nostri desideri e ci richiamava quano notava che perdavamo troppo tempo bocca aperta guardando il Bajkal. Era una guida perfetta che non ti riempiva la testa di informazioni inutili. Ci accompagnó indietro al viilaggio quando l'orario ci impose di andare verso la stazione dei treni di Irkutsk. Se avesse potuto sono sicuro che ci avrebbe messo una zampa sulle spae e abbracciato augorndoci buon viaggi. Invece si limitó ad abbaiare due volte e tornare verso i monti. Forse era lo spirito buono del bosco, forse un'allucinazione, o forse solo un grosso cane nero.
- blog di Unprepared Andrea
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bello
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